È passato mezzo secolo da quando l’Italia è diventato paese di immigrazione, più che di emigrazione, eppure lo Stato non riesce ancora a padroneggiare il fenomeno, né l’opinione pubblica a comprenderlo. Eppure siamo in pieno inverno demografico, soffriamo un saldo negativo annuo di italiani in entrata e uscita, abbiamo nuclei famigliari così ristretti che le attività di cura di malati bambini e anziani non si saprebbe a chi affidarle senza immigrati, le attività di imprenditori e lavoratori immigrati sostengono fisco e Inps. Cos’è quello italiano, un istinto pavloviano di rifiuto, incoscienza, o peggio?
In cinquant’anni l’Italia ha rifiutato di riconoscere il cambiamento sociale, economico e culturale messo in moto dall’immigrazione. Il risultato è che in un decennio abbiamo accresciuto di un milione e mezzo gli emigranti, per lo più giovani e lavoratori, e di centomila gli immigrati, per lo più famiglie e rifugiati. Nella maggioranza delle città si registrano tre morti per ogni nascita. Sono dati da paese destinato a morire. Serve uno scatto di umanizzazione, che recuperi i valori che ci hanno fatto crescere: solidarietà, cultura, condivisione, cooperazione.
Parliamo dello ius loci, o dello ius scholae, ovvero del concedere in qualche modo cittadinanza a chi cittadino lo è già nei fatti. A che punto siamo e cosa sarebbe giusto fare?
La campagna L’Italia sono anch’io per la revisione della legge sulla cittadinanza del 1992, e le due proposte di legge di revisione aperte allo ius culturae sono state bocciate dal parlamento. Si riparte con una campagna ecclesiale, guidata da Avvenire. Non si tratta di abolire lo ius sanguinis ma di affiancarlo con lo ius scholae, che valorizza l’avvenuto percorso culturale e di inserimento sociale. Dobbiamo rigenerare le nostre città attraendo persone di cui abbiamo bisogno, e motivare i giovani immigrati a restare, a sentirsi parte dei processi decisionali.
A proposito delle cose che ci stiamo dicendo, Migrantes come riesce ad incidere sulla situazione che si è creata? Se ne venisse richiesta dal governo, quale programma organico proporrebbe rispetto alle attuali scelte?
Migrantes è la fondazione della Conferenza episcopale italiana dedicata a emigranti, immigrati e rifugiati. Il primo mondo di riferimento è quello ecclesiale, vivacizzato dal pluralismo generato dall’arrivo in Italia di 200 nazionalità e oltre 850 religioni e chiese. Migrantes segue il cambiamento soprattutto attraverso Rapporti di ricerca, festival, percorsi di studio e di formazione, interlocuzioni istituzionali, strumenti di comunicazione. Al centro mette la persona che fugge da povertà, persecuzione e guerra, lavora, studia, cerca affetti e famiglia. L’accoglienza e la relazione sono il primo atto verso il migrante: l’atto di Abramo che si alza e va incontro, non aspetta il forestiero. Il secondo atto è la tutela, costituzionalmente protetta in quanto ai diritti della persona. Il terzo è la promozione: si riconoscano titoli, capacità, competenze sul lavoro, dando il diritto di rappresentanza anche politica almeno in ambito comunale. L’ultimo atto è il percorso di inclusione e di cittadinanza, cambiando Bossi-Fini e testo unico sull’immigrazione del 2002.
L’immigrazione non è stata governata, ma subita, rifiutata, criminalizzata, sfruttata. Oggi preferisce andarsene, cercando di meglio fuori dall’Italia: è stata data cittadinanza a più di un milione e mezzo di stranieri, ma il 30% l’ha considerata lasciapassare per andarsene altrove. L’estemporaneità, la complicazione dei percorsi burocratici, l’assenza di risorse per la casa la scuola interculturale la valorizzazione delle rimesse i ricongiungimenti familiari sono le costanti della politica immigratoria italiana: una politica suicida.
Possiamo dire che questa è soprattutto la posizione etica di chi prova a praticare il Vangelo, o è anche in qualche modo nell’interesse della politica e dell’economia italiane realizzare un programma del genere?
Senza etica non si governa. Si avrebbe una nazione di egoismi e privilegio, dove chi arriva da più debole soccombe. Cristo, nel discorso della montagna, elencando su cosa ci avrebbe giudicato positivamente, mise: “ero forestiero e mi avete ospitato”. La chiesa italiana e i cattolici hanno favorito da sempre una cultura politica, economica e sociale di apertura al mondo in particolare al Mediterraneo: si pensi alla Populorum progressio del papa già arcivescovo di Milano, e ai vari De Gasperi, La Pira, Giordano dell’Amore, Vico, padre Gemelli, Mattei. Senza cultura e apertura, un paese non avanza, si chiude e muore.
È dentro questo solco che si colloca la differenza di vedute con il governo sull’accordo bilaterale con l’Albania? L’Italia paga un vicino per evitarsi il fastidio di provvedere direttamente e nel proprio territorio alla cura di chi è in fuga dalla condizione di terrore e miseria. Cosa c’è di inaccettabile per la Cei in quell’accordo?
L’art.10 della costituzione è chiaro: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. “Nel territorio della Repubblica”, non fuori. Già il migrante salvato sulle nostre navi, si trova sotto giurisdizione italiana. Come garantirà l’Italia che alle persone raccolte in mare richiedenti asilo sulle navi o in un eventuale hot spot non si garantisca il diritto alla protezione internazionale, che è un diritto della persona, la cui storia va ascoltata da una apposita commissione? Si potrà non tutelare l’unità delle famiglie separandone i membri? Quali saranno le caratteristiche strutturali dei due CPR in Albania: lager a cielo aperto come i nostri CPR di Gradisca, Roma, Trapani, con violenze, suicidi, dosi massicce di psicofarmaci che li caratterizzano? Sono domande aperte che dicono la gravità della situazione che potrebbe crearsi lontano da occhi italiani indiscreti: operatori sociali, giornalisti, società civile. Ai campi in Libia e Turchia potranno sommarsi due campi chiusi con persone umiliate, non tutelate, con diritti fondamentali negati. Si tratterebbe di una grande vergogna italiana.
Migrantes è nata per occuparsi soprattutto di emigrazione italiana. Direi di chiudere spiegando quale delle vostre tante attività possa risultare di maggiore interesse per i lettori italiani che vivono o lavorano negli Stati Uniti.
Facciamo un importante lavoro di studio sulla storia dell’emigrazione italiana negli Usa, che annovera protagonisti straordinari come Santa Francesca Saverio Cabrini, prima santa degli Stati Uniti. Ogni anno guardiamo alla comunità degli italiani americani nel Rapporto annuale sugli italiani nel mondo, valorizzando la mobilità italiana d’andata e di ritorno, e come questa costituisca una cultura che si arricchisce nel viaggio, non smarrendo le sue radici. Gli Stati Uniti sono stati e restano un laboratorio importante per lo studio e il governo del fenomeno migratorio.