La morte di Aleksej Navalny è piombata sulla vigilia delle presidenziali russe e sul secondo anniversario della guerra in Ucraina, combinato disposto di una Russia guidata da un quarto di secolo da Vladimir Putin e in deriva autoritaria da oltre un decennio. La Costituzione modificata nel 2022 permette al leader russo di restare in teoria al potere fino al 2036, in pratica anche la sua leadership dipende dall’esito del conflitto scatenato due anni fa, come ogni cosa oggi nella Federazione russa. La guerra è immanente, tutto converge verso lo sforzo bellico: conversione dell’economia per produrre armamenti, rapporti internazionali, militarizzazione della diplomazia, politiche interne e macchina repressiva per cancellare ogni possibile traccia di dissenso.
La domanda rilanciata dal decesso in carcere del più celebre oppositore – malgrado l’oscuramento dei media ufficiali e lo sprezzante rifiuto di Putin di pronunciarne il nome – è quanto potrà durare la tenuta del fronte interno. Quello russo, ma l’interrogativo è di massima urgenza pure a Kiev, dove la legge con nuove regole per la mobilitazione divide la politica e allarma chi ha potuto evitare il fronte, in un clima stravolto rispetto a due anni fa, quando la resistenza all’invasione russa sembrava destinata a certa, per quanto incredibile, vittoria. La ‘war fatigue’ è anche in diverso modo palpabile nelle cancellerie occidentali che all’alba del 24 febbraio 2022 si risvegliavano con i carri armati russi in marcia e in ordine sparso speravano che tutto sarebbe finito in poche settimane. Come d’altronde pensavano anche i vertici russi.
L’Ucraina oggi si sente più sola, e a buona ragione. Le sparate di Donald Trump sugli alleati Nato insolventi da gettare in pasto a Putin suggeriscono all’Europa di riflettere sulla sua crescente irrilevanza per l’elettore americano, ma fanno ancora più paura a Kiev. Gli Stati Uniti sono rincorsi da altre emergenze geopolitiche, Medio Oriente nell’immediato, Indopacifico in prospettiva. Il Congresso indugia sui nuovi aiuti militari per l’esercito ucraino che ha un disperato bisogno di munizioni, oltre che di uomini. Intanto i Paesi dell’Ue firmano uno dopo l’altro accordi bilaterali di sicurezza con l’Ucraina, proiettati su un decennio e privi di vincoli giuridici: senso di drammatica urgenza unito a cautela che segnalano l’assenza di una precisa strategia.
Il quadro conforta il Cremlino, sempre convinto di potere arrivare alla destabilizzazione della Nato, malgrado oggi l’alleanza appaia molto più forte di due anni fa. La guerra ha sortito una lunga serie di conseguenze non volute per la Russia, compreso l’ingresso della Finlandia nel club atlantico e, a breve, della Svezia. Putin però ufficialmente non si sposta un centimetro dai famosi – e anche fumosi – obiettivi annunciati al momento dell’invasione, compresa la “denazificazione” dell’Ucraina, ovvero il cambio di regime nel Paese da riportare sotto il controllo russo.
Il momento sembra favorevole per Mosca anche sul terreno. La conquista della città di Avdiivka permette di rafforzare le linee difensive in posizione strategica, ma soprattutto conclude la più sanguinosa delle battaglie viste in due anni con una vittoria russa, non un dettaglio alla vigilia di elezioni presidenziali che dovranno rilanciare la leadership putiniana e quindi il mandato per la ‘sua’ guerra.
Sull’annunciato plebiscito per Vladimir Putin si staglia però l’ombra della morte di Navalny in carcere e la necessità del regime di reprimere ogni parvenza di protesta. La personale lotta della madre dell’oppositore per riavere il corpo del figlio tocca un tasto profondo nella società russa, forza le divisioni tra fan dell’impresa bellica, rassegnati alla guerra e contrari ma silenti. Altrettanto difficile da gestire è la protesta delle mogli dei soldati mandati al fronte, appuntamento settimanale per reclamare il rientro e non per contestare la cosiddetta “operazione militare speciale”.
Alla fine, per Russia, Ucraina, ma anche Stati Uniti e alleati occidentali, il fronte più delicato nel 2024 sarà quello interno. Sul piano globale, per la partita ucraina si prospetta decisivo l’intreccio con l’incendio mediorientale e le tensioni nello Stretto di Taiwan. Nei Paesi “dell’Occidente collettivo” si aggira uno spettro di consapevolezza che il 24 febbraio 2022 sia stato solo l’inizio, parte di una più grande deflagrazione dell’ordine mondiale uscito dalla guerra fredda. E che niente, comunque vada, sarà più come prima.