Neanche l’incriminazione e l’arresto di Aleksander Smirnov, la “talpa” dei servizi segreti russi che ha falsamente accusato il presidente Biden e suo figlio Hunter che con le sue affermazioni ha avviato l’inchiesta per l’impeachment del presidente, ha frenato i parlamentari repubblicani delle commissioni Giustizia e di quella di Supervisione della Camera che hanno continuato oggi la loro inchiesta interrogando il fratello del presidente.
Sia James Comer, presidente della Commissione di Supervisione che Jim Jordan, presidente della Commissione Giustizia, hanno minimizzato il ruolo di Smirnov affermando che le loro indagini si basano su altre prove che avvalorano la richiesta di impeachment per il presidente. Prove che però restano solo nelle loro affermazioni, perché di evidenze giudiziarie o di testimonianze, salve quella di Smirnov, almeno per ora non ce ne sono.
Oggi James Biden ha testimoniato davanti alle Commissioni che suo fratello, il presidente Biden, “non ha mai avuto alcun coinvolgimento o alcun interesse finanziario diretto o indiretto” nelle sue iniziative imprenditoriali, contrastando le affermazioni dei repubblicani secondo i quali il capo della Casa Bianca sarebbe coinvolto negli affari della sua famiglia. I soldi, 200 mila dollari, che con un assegno James Biden ha dato al fratello presidente, ha detto nella sua testimonianza che era la restituzione di un prestito che gli era stato fatto alcune settimane prima. I repubblicani invece sostengono che il presidente abbia beneficiato finanziariamente degli affari esteri della sua famiglia. La testimonianza è avvenuta a porte chiuse e le dichiarazioni di James Biden sono state rilasciate ai giornalisti fuori dall’aula prima di deporre.
L’intervista con il fratello di Joe Biden avviene dopo che i legislatori del GOP, che guidano l’inchiesta sull’impeachment, hanno subito un duro colpo la scorsa settimana. Un ex informatore dell’FBI, Alexander Smirnov, è stato incriminato dal procuratore speciale del Dipartimento di Giustizia David Weiss per aver mentito sul coinvolgimento di Joe Biden e Hunter Biden con una compagnia energetica ucraina. Smirnov era stato pubblicizzato per mesi dai repubblicani come una fonte credibile che dimostrava che il presidente e suo figlio erano direttamente coinvolti nella corruzione. Ma dopo l’incriminazione per le false accuse è saltato fuori che era manovrato dai servizi segreti russi.
“Penso che sia giunto il momento che lo speaker della Camera intervenga per porre fine a questa a questa inutile gazzarra dei suoi compagni di partito” ha affermato Jamie Raskin, il parlamentare democratico, vicepresidente della Commissione di Supervisione.
Hunter Biden, che è al centro delle accuse dei repubblicani alla Camera contro il presidente, testimonierà anche lui a porte chiuse il 28 febbraio.
Tutto il castello accusatorio dei repubblicani è crollato dopo che ieri David Weiss, il procuratore Speciale che indaga su Hunter Biden e che ha incriminato per l’acquisto di una pistola e per non aver pagato le tasse per due anni, ha stabilito che Aleksander Smirnov, già incriminato per aver mentito all’Fbi, ha confessato di aver ricevuto queste informazioni da operativi dell’intelligence russa. Come “informatore” era già in contatto con gli agenti federali americani per vecchie vicende di soldi poco chiari che erano passati di mano in Ucraina quando Paul Manafort, l’ex campaign manager di Trump pagato da Viktor Yanukovych, l’ex premier di Kiev, per bloccare l’ingresso del suo paese nella Nato. Manafort, come è noto, finì in prigione dopo che Robert Muller, allora Special Prosecutor per le interferenze di Mosca sulle elezioni del 2016, aprì l’inchiesta. Una volta scoperto che Smirnov dava informazioni agli agenti americani, venne arruolato dallo spionaggio russo che poi lo ha piazzato su un piatto d’argento ai repubblicani per far scoppiare uno scandalo politico che avrebbe dovuto coinvolgere la Casa Bianca nell’anno delle elezioni presidenziali. Una storia da John le Carré venuta alla luce solo per uno “scivolone” di Smirnov nella sua fantasiosa storia. A tradirlo è stato il suo racconto all’FBI nel settembre 2023, secondo cui Hunter Biden era stato registrato mentre faceva telefonate in un hotel di Kiev “cablato” e “sotto il controllo dei russi”. Una bugia che ha messo in allarme gli agenti federali che hanno verificato i movimenti del figlio del presidente e hanno visto che Hunter Biden, nelle date fornite da Smirnov “non era in Ucraina”. E una volta notata una prima contraddizione gli agenti federali hanno riesaminato molto più attentamente i documenti e le notizie di Smirnov. Esami, come quelli fatti sulle lettere dei dirigenti della Burisma che Smirnov aveva dato agli inquirenti federali che sotto una seconda lente di ingrandimento si sono rivelate false. Alla fine Smirnov ha confessato, raccontando di aver avuto a novembre e dicembre dello scorso anno contatti “estesi ed estremamente recenti” con quattro alti dirigenti dell’intelligence di Mosca, due dei quali “sono i capi delle sezioni” dello spionaggio.
Negli atti depositati in tribunale per l’incriminazione Smirnov si legge che è stato incriminato per aver mentito sul coinvolgimento di Joe Biden e di Hunter nelle attività della società energetica ucraina Burisma, quando il primo era vicepresidente e il secondo era membro del board della compagnia.
Secondo l’accusa, nel 2020 Smirnov riferì falsamente due incontri del 2015 o 2016 in cui dirigenti della Burisma gli avrebbero detto Hunter Biden era stato assunto per “proteggerci, attraverso suo padre, da ogni tipo di problema”. Falso anche che i dirigenti della società energetica abbiano pagato 5 milioni di dollari ciascuno a Joe e Hunter Biden.