Una supermulta da 355 milioni di dollari per Donald Trump. Il giudice Arthur Engoron ha condannato l’ex presidente a pagare questa sanzione che potrebbe spazzare via il suo intero patrimonio.
La decisione mette fine a un caso caotico durato anni in cui l’Attorney General di New York, Letitia James, ha portato a processo non solo l’ex presidente per la truffa fatta alle banche e alle assicurazioni, ma ha messo alla berlina anche le sue fantastiche pretese di ricchezza. Un processo senza giuria, il cui potere era solo nelle mani del giudice Engoron, che ha reagito duramente agli insulti e alle smargiassate dell’ex presidente.
Non solo il giudice Engoron ha imposto la supermulta, ma ha emesso un divieto di tre anni per Trump per ricoprire ruoli di vertice in qualsiasi azienda di New York, compresa la propria. Punizione estesa anche ai figli adulti dell’ex presidente per due anni. Uno di questi, Eric, è l’amministratore delegato de facto della Trump Organization. Da capire ora chi sarà nominato come suo successore.
Trump ha già annunciato che farà appello contro la condanna. “Non c’e’ stata alcuna frode – ha detto dalla sua residenza di Mar-a-Lago – e si è trattato di strumentalizzazione contro un avversario politico”.
La decisione del giudice Engoron era scontata perché Donald Trump e i suoi figli erano già stati riconosciuti colpevoli della frode denunciata dall’Attorney General James, secondo cui l’ex presidente e la sua organizzazione nel corso degli anni avevano ingannato le banche, le società di assicurazioni e altre istituzioni riguardo al valore degli asset dell’azienda, compresi i terreni da golf e gli alberghi che portano il suo cognome.

Nel corso del processo James aveva ripetuto che la Trump Organization ha continuato ad attuare i suoi comportamenti fraudolenti e abbia agito per aggirare le potenziali punizioni derivanti dal procedimento giudiziario. E anche per questo il giudice Engoron, già nella sua decisione in cui aveva riconosciuto Trump e i figli colpevoli della frode, aveva vietato alla Trump Organization di vendere o trasferire qualsiasi asset immobiliare senza fornire al tribunale e all’ufficio della Procura un preavviso di 14 giorni. Oltretutto, aveva nominato come controllore esterno l’ex giudice federale Barbara Jones, che ha supervisionato la gestione dell’azienda ordinando all’amministrazione di garantire la piena accessibilità alla propria contabilità interna. In uno dei controlli è saltato fuori che una delle aziende di Trump ha fatto un prestito di 50 milioni di dollari ad un’altra azienda del gruppo, che ha dedotto le passività della cessione nella denuncia fiscale, scoprendo poi che questa non era mai stato fatta. Un’evasione fiscale bella e buona che non ha dirette conseguenze su questa decisione, ma che apre la possibilità di nuove incriminazioni.
Già dopo la nomina di Barbara Jones, con l’impero dell’ex presidente sotto tutela, si era capito che la “stangata” sarebbe stata colossale.
Rispetto a tutti gli altri procedimenti che sta fronteggiando – quelli federali per i documenti riservati sottratti illecitamente dalla Casa Bianca e portati in Florida, quello per il suo ruolo nei tentativi di sovvertire i risultati elettorali delle elezioni del 2020 e quello in Georgia sempre per le interferenze elettorali – questo processo, che lo ha visto coinvolto con i figli e con la Trump Organization, la holding a cui fanno capo circa 500 aziende, è quello che colpisce più duramente l’ex presidente. Perché è quello che mette in pubblico le sue pratiche truffaldine dopo che per anni aveva cercato di crearsi l’immagine di un uomo d’affari di successo per costruire prima la sua carriera televisiva e poi l’ascesa alla Casa Bianca.