2 ore e 6 minuti. Tanto è bastato al presidente russo Vladimir Putin per illustrare la sua visione del mondo al giornalista statunitense Tucker Carlson – primo reporter occidentale a intervistarlo dall’inizio della guerra in Ucraina.
Un colloquio riuscito a far scalpore ancora prima della sua pubblicazione, avvenuta giovedì sera sul sito web dell’ex presentatore di punta di Fox News.
Note di biasimo sono arrivate in primis dalla Casa Bianca, secondo cui il filo-trumpiano Carlson si sarebbe offerto come consapevole megafono della propaganda moscovita. “Ricordate che state ascoltando Vladimir Putin, non prendete ciò che dice per oro colato”, l’avvertimento del portavoce della Casa Bianca per la sicurezza nazionale John Kirby. Più lapidaria invece l’ex segretaria di Stato dem Hillary Clinton ai microfoni di MSNBC: “Carlson è l’utile idiota del Cremlino”.
Il giornalista, al contrario, ha invocato l’obbligo di prendere in considerazione tutti i punti di vista. Gli americani, a suo dire, “non sono adeguatamente informati” sulla guerra e “la stanno finanziando in modi che forse non percepiscono ancora del tutto”. Una chiara, chiarissima allusione agli oltre 75 miliardi di dollari di aiuti finanziari e militari forniti sinora da Washington a Kyiv, e che il Congresso si è per ora rifiutato di aumentare nonostante il pressing di Biden.

Buona parte dell’intervista è consistita nell’estesissimo monologo storico – circa 40 minuti di fila – con cui Putin ha elencato le presunte ragioni storiche per cui l’Ucraina occidentale sarebbe in realtà russa fin dal IX secolo. Il leader russo ha quindi ripetuto che, a suo giudizio, alcune parti dell’Ucraina lungo il Mar Nero “non hanno alcun legame storico con l’Ucraina”.
La lectio putiniana ha poi fatto luce sul ruolo messianico dell’URSS nella Seconda Guerra Mondiale, prima che Carlson lo interrompesse timidamente per chiedergli cosa c’entrasse la storia con l’ordine di aggredire Kyiv partito all’alba del 24 febbraio 2022.
Anche qui Putin non è riuscito a fare a meno dell’ennesima premessa storiografica, anche se stavolta in salsa contemporanea. Il conflitto tra Mosca e Kyiv sarebbe infatti nato a causa della continua espansione ad est della NATO. “L’accordo era che l’Alleanza non si sarebbe estesa verso est, ma è successo ben cinque volte”, ha chiosato Putin, secondo cui Mosca avrebbe inutilmente cercato di impedire l’approdo dell’Alleanza in ciò che rimaneva del secondo mondo post-socialista. Almeno fino a quando la prospettiva dell’ingresso di Kyiv nella coalizione avrebbe definitivamente fatto precipitare le cose.
Nella visione putiniana, insomma, non sarebbe stata la Russia a iniziare la guerra, bensì l’Ucraina. In particolare, la rivolta di Euromaidan del 2014 e la cacciata del presidente filo-russo Viktor Yanukovich da Kyiv avrebbero messo a serio repentaglio la sicurezza delle popolazione russofone del Donbass e della Crimea (annessa manu militari da Mosca sempre nel 2014).
Lo ‘zar’ ha poi negato che le truppe russe abbiano “raggiunto i propri obiettivi” in Ucraina. In cima a questi ultimi rimane la “denazificazione” del Paese est-europeo – ovverosia la neutralizzazione della classe dirigente europeista e filo-atlantista salita al potere nel 2014.
Capitolo negoziati. “Non li abbiamo mai rifiutati, dovreste dire all’attuale leadership ucraina di fermarsi e di sedersi al tavolo della trattativa”, ha precisato Putin. L’obiettivo di Mosca rimane quello di “mettere fine alla guerra al più presto” – negando qualsivoglia intenzione di estendere il conflitto a Polonia o Baltico.

Non sono mancate frecciatine agli Stati Uniti e alle note fragilità interne di Washington. “Non avete davvero niente di meglio da fare?”, ha risposto Putin sul supporto degli Stati Uniti a Zelensky, citando la crisi al confine USA-Messico, la polarizzazione politica e un debito nazionale sempre più gonfio.
Il 71enne pietroburghese – che a marzo otterrà un’assai probabile riconferma per altri 6 anni – ha poi affrontato lo spinoso argomento della detenzione di Evan Gershkovich. Il corrispondente del Wall Street Journal, arrestato lo scorso marzo a Ekaterinburg per presunto spionaggio (accuse che tanto lui quanto le autorità USA negano), potrebbe venire scambiato con un agente russo attualmente detenuto in Germania.
Si tratta di Vadim Krasikov, che sta scontando un ergastolo dopo essere stato condannato per la brutale uccisione su commissione, nel 2019, di Zelimkhan “Tornike” Khangoshvili. Prima di venire assassinata, la vittima, un ex comandante militare georgiano-ceceno scontratosi contro i russi in Cecenia e Georgia, aveva deciso di diventare un informatore dell’intelligence di Berlino (sempre in funzione anti-russa).
Da sottolineare, infine, i continui apprezzamenti dello ‘zar’ al sempre più imprescindibile alleato cinese: “L’Occidente ha più paura di una Cina forte che di una Russia forte”. E ancora, in merito all’ascesa politico-economica di Pechino: “Non si può impedire al sole di sorgere. Bisogna solo adattarsi”.