“Da quella volta non l’ho rivista più…Cosa sarà della mia città. Non so perché stasera penso a te Strada fiorita della gioventù” con questi versi il cantautore Sergio Endrigo nella canzone “1947” esprime l’amore per la sua terra, la nostalgia e la sofferenza dell’esodo.
Endrigo appartiene alla generazione degli esuli adulti o adolescenti che, nonostante la lontananza, non hanno mai perso il legame profondo e indissolubile con il paese di origine.
Quest’anno, ricorre il ventennale dell’istituzione del Giorno del ricordo, approvato dal Parlamento italiano in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale.
La data, il 10 febbraio, è significativa perchè fa riferimento alla firma del Trattato di pace di Parigi, del 1947, che impegnava l’Italia a restituire alla Jugoslavia l’Istria, con le città di Fiume e Zara e le isole del Quarnaro.
Il processo di ratifica, avvenuto da parte dell’Assemblea Costituente il 31 luglio dello stesso anno, fu terreno di scontro tra le forze politiche e coinvolse anche i vertici istituzionali.
Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato, esitò a firmare l’atto di ratifica, decidendo di farlo solo quando fu concordata una formulazione dalla quale risultava che il governo aveva deciso di procedere alla ratifica del Trattato ma non si diceva che il governo aveva ratificato.
Una stesura che apparentemente non chiamava in causa un atto di volontà del Presidente.
La firma fu oggetto di un ultimo sussulto rinviata di un giorno per evitare, per ragioni scaramantiche, che fosse apposta di venerdì.
Il voto parlamentare del 2004 segna una svolta nella riflessione storica-politica sulle vicende del confine nord-orientale, rimuovendo una indifferenza durata sessant’anni.
I Presidenti della Repubblica, in particolare Ciampi, Napolitano e Mattarella, hanno svolto un ruolo cruciale per far conoscere quelle tragiche vicende, inserendole a pieno titolo nella storia del Paese. Un punto di condivisione per tutti gli Italiani indipendentemente dall’orientamento politico.
I Presidenti, massime autorità del Paese, hanno inteso costruire, su vicende storiche politicamente divisive e cariche di simbolismo, una memoria basata sulla conoscenza storica.
L’obiettivo è superare l’eredità bellica, non basandosi sul risentimento per ciò che è avvenuto, ma proiettandosi verso un futuro condiviso in Europa. Ciampi ha ufficialmente promulgato la legge che fissa la ricorrenza.
Il Presidente riconoscendo il valore simbolico della data per la comunità dell’Esodo incontrò, con l’iter della legge ancora in corso, una delegazione della Federazione delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati .
Dimostrando sia sensibilità umana che istituzionale, Ciampi, nel febbraio del 2000, visita la Foiba di Basovizza, dichiarato monumento nazionale nel settembre del 1992 dal Presidente Scalfaro, visitato dal Presidente Cossiga, il 3 novembre del 1991 e dallo stesso Scalfaro l’11 febbraio 1993.
Ciampi, nell’ottobre del 2001, durante la Visita di Stato in Croazia accompagnato dal Presidente Mesic’, incontra le comunità di Fiume, Rovigno e Pola composte da cittadini croati che continuavano a mantenere un forte attaccamento alla patria d’origine.
Con parole cariche di sentimento Ciampi affermò: “Vi sento italiani nel midollo delle ossa”.
Per i presenti fu impossibile non avvertire una profonda emozione ricordando i tragici eventi del passato.
Fu in quella occasione che, per la prima volta e con cautela, si parlò di un gesto simbolico di riconciliazione da compiere, dai Presidenti di Italia, Slovenia e Croazia, per superare le divisioni del passato.
Il dialogo su questa ipotesi venne avviato durante i vertici dei capi di Stato dell’Europa centrale, specialmente in quello di Verbania del giugno 2001.
Purtroppo, nonostante gli approfondimenti in diverse riunioni caratterizzate da un clima amichevole e di reciproco rispetto, il progetto di un”gesto di riconciliazione” non si concretizzò.
Abbiamo dovuto aspettare ancora per assistere a quell’evento tanto atteso.
La sensibilità di Carlo Azeglio Ciampi verso il tema dell’esilio si era già manifestata nella sua tesi di laurea alla Normale di Pisa, incentrata su un testo greco del II secolo che descriveva il dolore dell’esule strappato alle cose più care.
ll Giorno del ricordo fu celebrato la prima volta al Quirinale, nel febbraio 2006, accanto a Ciampi le più alte cariche dello Stato e gli esponenti delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati.
Il Presidente dopo avere ricordato l’importanza della legge sottolineò: “E’ giusto che agli anni del silenzio faccia seguito la solenne affermazione del ricordo”.
Sin dall’inizio, la cerimonia non è solo testimonianza di un dovere morale, ma anche il segno di una presa di coscienza dell’ intera comunità nazionale, desiderosa di ricordare senza risentimenti.
Il Presidente Napolitano, negli anni successivi , mantiene viva l’attenzione sulla ricorrenza, celebrandola ogni anno al Quirinale, dal 2007 al 2014.
L’appuntamento del 10 febbraio diventa sempre più patrimonio diffuso della comunità nazionale, e non solamente memoria delle Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati.
Nel 2007, Napolitano richiama il dovere delle istituzioni della Repubblica di riconoscere: “la tragedia di migliaia e migliaia di famiglie, i cui cari furono imprigionati, uccisi, gettati nelle foibe. Una delle barbarie del secolo …e la tragedia collettiva dell’esodo”.
In quello stesso discorso fa un riferimento all’autunno del 1943: “quando vi fu un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica”.
Il Presidente quindi si sofferma sulla “congiura del silenzio”, che ha segnato per anni le popolazioni di quelle terre : “Anche di quella — prosegue — non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell’aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali”.
L’intervento di Napolitano con i passaggi sul : “disegno annessionistico slavo” e i : “sinistri connotati di una pulizia etnica” provoca un’ inattesa presa di posizione del Presidente croato Stipe Mesic, che in una nota si dice “costernato” e spiacevomente sorpreso per le dichiarazioni del Presidente italiano.
La risposta è affidata al ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, che parla di una reazione immotivata dettata da una lettura fuorviante.
Mesic sembra declinare al presente le parole di Napolitano che invece erano considerazioni legate ad un’analisi storica.
La questione viene risolta con una nota congiunta che riconosce l’assenza nelle parole del Presidente di riferimenti polemici alla Croazia.
Nel febbraio 2009, in occasione della ricorrenza, Napolitano fa un riferimento alle responsabilità storiche del regime fascista e alle sofferenze inferte alla minoranza slovena negli anni della guerra.
In questo contesto, si riaffaccia e si fa strada l’ipotesi di un gesto di riconciliazione con Slovenia e Croazia.
L’occasione si presenta con il concerto “Le Vie della Pace” promosso dal Maestro Riccardo Muti che fa tappa a Trieste, il 13 luglio del 2010.
In piazza Unità d’Italia, Giorgio Napolitano, il Presidente sloveno Danilo Turk e quello croato Ivo Josipovic assistono al concerto, iniziato con gli inni di Slovenia, Croazia ed Italia, in un clima di concordia e di volontà di dialogo.
Lo stesso giorno, i tre Presidenti depongono una corona di fiori davanti alla Norodni Dom, sede delle organizzazioni degli sloveni triestini, incendiata il 13 luglio del 1920 dai fascisti.
Episodio che lo storico Renzo De Felice definì: “il vero battesimo dello squadrismo organizzato”.
I Presidenti si ritrovano, l’uno accanto all’altro, nell’atrio della ex casa del popolo, scrivono insieme sulla stessa pagina del libro d’onore. Le parole condivise testimoniano l’ impegno comune a costruire un futuro di cooperazione tra i popoli e i Paesi che rappresentano.
La stessa scena si ripete dopo poco in Piazza Libertà, davanti al monumento dell’esodo dalle terre natali degli Istriani, Fiumani e Dalmati .
A Trieste, il 13 luglio, i Presidenti d’ Italia, Slovenia e Croazia compiono un gesto fortemente simbolico, segnalando la volontà politica, umana e culturale di ritrovarsi.
L’obiettivo è ritrovare nell’Adriatico uno spazio comune dove le giovani generazioni possano costruire un futuro senza essere ostaggio delle drammatiche lacerazioni del passato.
Nel gennaio del 2011, la bandiera slovena sventola accanto a quella italiana al Quirinale, un’immagine simbolo della prima visita di Stato di un Presidente sloveno in Italia. Dalla indipendenza della Slovenia mai si era registrato un incontro a così ad alto livello.
Durante i colloqui, i capi di Stato si rifanno dello “spirito di Trieste” e proprio per suggellare il momento, il Presidente sloveno incontra Lucio Toth esponente di spicco dell’associazionismo degli esuli istriani, fiumani e dalmati.
Tra i due, un dialogo cordiale incentrato sulla collaborazione e le aspettative degli esuli. Il ruolo dialogante e autorevole di Toth viene riconosciuto e apprezzato dagli interlocutori sloveni.
Il giornalista ed esule spalatino, Enzo Bettiza, descrive il primo soggiorno a Roma di Türk con queste parole “segna emblematicamente, sotto molti aspetti, la chiusura postuma e definitiva di poco meno o poco più di mezzo secolo di storia. Storia tragica in un’altalena di aggressioni e ritorsioni reciproche con connotati ideologici e razziali sempre più disumani”.
Il 3 settembre del 2011, Napolitano e il Presidente croato Josipovic sono a Pola, città simbolo dell’esodo italiano dall’Istria e dalla Dalmazia, per assistere al Concerto “Italia e Croazia insieme in Europa”.
La dichiarazione congiunta rilasciata prima del concerto, nell’Arena romana, rappresenta un passo importante nella normalizzazione dei rapporti tra Roma e Zagabria, è un appello al dialogo, alla collaborazione e all’amicizia.
Commenta Napolitano: “Fra Italia e Croazia non ci sono più i problemi del passato è fondamentale far prevalere il tanto che ci unisce su quello che ci ha dolorosamente divisi. Dobbiamo ricordare anche i lati oscuri della storia comune, sia le vittime del fascismo italiano che quelle della folle vedetta delle autorità postbelliche della ex Jugoslavia”.
La presidenza Mattarella si distingue anch’essa per un netto riavvicinamento ai Paesi del confine orientale.
Questa vicinanza alle comunità dell’Istria emerge già nel 2004, quando l’onorevole Mattarella, firma la proposta di legge per riconoscere il ruolo del Centro di ricerche storiche Rovigno come importante istituzione di documentazione e divulgazione.
In coerenza con le parole dei suoi predecessori, nel 2015, pochi giorni dopo la sua elezione, partecipando alla ceriminia alla Camera dei deputati, ricorda le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la tragedia delle foibe e dell’esodo.
Tali eventi, afferma “hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia”. Richiama la casa comune europea, sottolineando che questa permette a popoli diversi di sentirsi parte di un destino unico, nel quale non c’è posto per l’estremismo nazionalista, gli odi razziali e le pulizie etniche.
Il 10 febbraio 2016, da New York, durante un incontro al Museo Guggenheim con la comunità italo-americana, il Presidente dedica un pensiero agli esuli costretti ad abbandonare le loro case, approdati negli Stati Uniti in cerca di un futuro migliore dopo gli orrori subiti.
In varie occasioni, Mattarella riconosce il contributo prezioso e instancabile delle numerose Associazioni degli esuli e delle comunità giuliano-dalmate e istriane nell’opera di diffusione della conoscenza su quelle tragiche vicende.
Nel 2018, fa un chiaro riferimento ad “una tragedia provocata da una pianificata volontà di epurazione su base etnica e nazionalistica”. Nel 2019, ricorda i “tanti innocenti, colpevoli solo di essere italiani e di essere visti come un ostacolo al disegno di conquista territoriale e di egemonia rivoluzionaria del comunismo titoista” aggiungendo il termine “infoibato” al catalogo degli orrori del ‘900.
Nelle celebrazioni degli anni successivi, Mattarella richiama le responsabilità del fascismo e la politica brutalmente antislava del regime, elementi cruciali per comprendere le vicende storiche che hanno sconvolto i territori di confine.
Un contributo di notevole importanza alla cooperazione e al dialogo tra Italia e Slovenia è stato garantito dai solidi legami personali tra i Presidenti, Sergio Mattarella e Borut Pahor.
Il Presidente sloveno e’ stato un interlocutore attento sia per Napolitano che per Mattarella, con incontri sia in Slovenia che in Italia, e durante le riunioni del “Gruppo Arraiolos”, evento annuale a cui partecipano capi di Stato non esecutivi delle democrazie parlamentari dell’ UE.
Per questa sua sensibilità Pahor ha ricevuto il Premio internazionale Alcide De Gasperi, dedicato ai costruttori d’Europa e i “Tre sigilli di Trieste”, il riconoscimento più prestigioso della Città.
Mattarella, il 13 gennaio del 2018, ha partecipato al Caslello Brdo, insieme alla Presidente della Croazia Kolinda Grabar Kitarovic, alla cerimonia per l’inizio del secondo mandato del Presidente sloveno.
La data simbolo di una riconciliazione ritrovata è il 13 luglio 2020, quando i Presidenti Mattarella e Pahor si sono tenuti per mano durante il minuto di silenzio, per rendere omaggio agli Italiani morti nella Foiba di Basovizza, luogo simbolo di esecuzioni e di occultamento di cadaveri .
Il gesto viene ripetuto, con la stessa carica simbolica, dopo pochi minuti nel borgo di Basovizza, davanti al cippo che ricorda i quattro sloveni, fucilati il 6 settembre 1930, condannati, secondo una sentenza del Tribunale speciale, per “attentato contro Stato”.
L’incontro coincide con il centenario dell’incendio appiccato dai fascisti al Narodni Dom (la “Casa del popolo”) e si conclude con la firma del protocollo che restituisce la Casa del popolo alla comunità slovena.
Questi gesti, di grande impatto politico e forte valore simbolico, sono voluti dai due Presidenti per promuovere un’ autentica riconciliazione.
Mattarella, quasi a voler fare un bilancio nel 2023, richiama l’impegno congiunto dell’Italia, della Slovenia e della Croazia nel trasformare le zone di confine in luoghi di incontri, di prosperità e di speranze.
La scelta di designare Gorizia e Nova Gorica come Capitale Europea della Cultura del 2025 testimonia come, per l’intera Unione, le oppressioni disumane del passato siano diventate vie di amicizia e comprensione.
I Presidenti italiani, attraverso parole e gesti, hanno evidenziato l’importanza di una ricostruzione storica approfondita, sottolineando la dimensione europea come cornice per stemperare gli eccessi politico-ideologici.
Il Giorno del ricordo come un percorso di maturità e di consapevolezza, per promuovere una vera riconciliazione nelle aree di confine, a lungo luoghi di contatto fra popoli e culture.
L’obiettivo è superare le pagine più tragiche del passato, aprendo la strada a un futuro di collaborazione.
Costantino Del Riccio