La corsa agli armamenti statunitensi non conosce soste, come prova il documento pubblicato dal Dipartimento di Stato americano, questa settimana, dove si registrano per l’anno fiscale 2023, vendite militari dirette da parte delle società statunitensi pari a 157,5 miliardi di dollari, e vendite organizzate tramite il governo degli Stati Uniti a 80,9 miliardi di dollari. Nell’anno fiscale 2022 le vendite dirette avevano toccato 153,6 miliardi, mentre quelle tramite il governo 51,9 miliardi di dollari. I numeri strepitosi presentati dal dipartimento guidato da Antony Blinken parlano anche di vendite di attrezzature militari a governi stranieri pari a 238 miliardi di dollari in crescita del 16% nel 2023, rispetto all’anno precedente, mentre molti paesi Nato cercano di ricostruire le scorte dopo gli invii in Ucraina e si preparano a possibili nuovi conflitti legati all’instabilità geopolitica generale.
Eppure questi numeri non sembrano convincere alcuni dei contractors storici del Pentagono. Se i conflitti stanno portando ordini record alle società che si occupano di difesa come Northrop Grumman, Lockheed Martin e RTX, si stanno orientando all’abbandono di alcuni progetti militari, poiché i costi ricadrebbero soprattutto su di loro e non sul governo.
Il Wall Street Journal questa settimana ha riportato che Northrop Grumman avrebbe impiegato 1,2 miliardi di dollari per costruire i primi modelli del nuovo B-21 Raider, l’aereo bombardiere a lungo raggio in grado di trasportare armi nucleari e scoraggiare azioni militari da parte di Cina e Russia. Tuttavia l’azienda dovrà affrontare una potenziale perdita nella produzione dei primi bombardieri. L’Air Force Usa ne vuole acquistare almeno 100, originariamente al prezzo di circa 750 milioni di dollari ciascuno, ma i costi sono lievitati a causa dell’inflazione e Northrop rischia una produzione in perdita. Le stime iniziali dei costi che avevano consentito al gruppo di battere, nel 2015, un team composto da Boeing e Lockheed Martin per il contratto iniziale, sono ora completamente cambiate e il dipartimento alla Difesa non sembra volersene assumere gli oneri.
Il Pentagono sigla contratti cost-plus per sviluppare nuovi sistemi d’arma, in cui le aziende guadagnano un profitto fisso e il governo copre le spese impreviste se emergono problemi o cambiano i requisiti contrattuali. Quando questi piani vengono definiti e le armi sono pronte per la produzione, il Pentagono spesso passa ad accordi a prezzo fisso, ma le aziende restano in difficoltà se i costi aumentano.
Northrop ha dichiarato in estate che non avrebbe fatto offerte per un programma dell’aeronautica militare per sviluppare caccia a reazione di fascia alta che sostituiranno l’F-22, il velivolo in grado di eludere i radar. Anche la L3Harris Technologies, altro contractors di lunga data, ha rinunciato a competere per un nuovo missile della Marina la scorsa estate. Boeing ha accumulato perdite per oltre 10 miliardi di dollari a causa di passi falsi nella costruzione di nuove navi cisterna per il rifornimento di carburante, taxi spaziali e jumbo jet e non intende continuare su questa scia. Il Dipartimento della Difesa, negli ultimi dieci anni, si trova a contare su un gruppo sempre più ristretto di appaltatori principali, responsabili della costruzione di navi, aerei e munizioni, con solo due o tre che in genere siglano accordi, a causa di fusioni e raggruppamenti che rasentano l’oligopolio. L’inflazione rischia di restringere ulteriormente il gruppo.
In questo contesto faticano a inserirsi le startup della difesa, nate entusiasticamente nella Silicon Valley: negli ultimi 3 anni se ne contano oltre 100, impegnate nel costruire strutture belliche. Secondo PitchBook Data, gli investimenti di capitale di rischio in startup che costruiscono tecnologie di difesa hanno superato i 30 miliardi di dollari all’anno negli ultimi tre anni. Tuttavia queste società si sono aggiudicate appena l’1% dei contratti da 411 miliardi di dollari stipulati dal Dipartimento della Difesa, che pur guardando con interesse alle innovazioni, di fatto non se la sente di investire in tecnologie non ampiamente collaudate. Le nuove arrivate non demordono e solo nel 2023 hanno speso oltre 6 milioni di dollari per le azioni di lobbying sui legislatori.
Invece per i contractors di fiducia il vero problema è legato al calo dei margini di utili nonostante l’impennata delle vendite delle aziende. Per compensare i maggiori costi di realizzazione delle apparecchiature è stato stanziato un miliardo per il 2023, ma non basta e l’erogazione non è ancora avvenuta, mentre il Congresso continua a restare diviso anche su un capitolo fondamentale come quello della sicurezza.