Vladimir Putin è ufficialmente candidato alle elezioni presidenziali russe del 2024. Non che ci fossero dubbi al riguardo – è certa da mesi non solo la sua partecipazione al voto ma persino la pressoché scontata vittoria-plebiscito. Ora, però, c’è quantomeno l’ufficialità formale.
Negli scorsi giorni il team dello ‘zar’ pietroburghese ha infatti depositato il numero necessario di firme a sostegno della sua ricandidatura e, lunedì, la Commissione elettorale centrale (CEC) di Mosca lo ha formalmente registrato come candidato alle elezioni di marzo.
Nello specifico, lo staff di Putin è riuscito a raccogliere quasi 315.000 firme di elettori in tutto il Paese eurasiatico – e solo un misero 0,15% (grossomodo 500) è stato giudicato non conforme. Un numero che soddisfa pienamente il requisito imposto dalla legge russa, secondo cui i pretendenti al Cremlino che non siano appannaggio di partiti rappresentanti in parlamento – Putin correrà da indipendente – devono presentare almeno 300 mila firme in almeno 40 regioni.
L’impressione è che Putin ne avrebbe potute ricevere almeno il doppio, ma non ha voluto strafare. Forse proprio per dare una maggiore parvenza di ‘democraticità’ alla conferma elettorale. Lo aveva d’altronde sostenuto anche il portavoce Dmitrij Peskov qualche giorno fa (“Se si vuole, se ne possono raccogliere molte di più”).
Sinora la commissione ha approvato altri tre candidati al ballottaggio, che benché nominati da partiti rappresentati alla Duma, hanno comunque raccolto le sottoscrizioni: Nikolay Kharitonov del Partito Comunista, Leonid Slutsky del Partito Liberal-Democratico (che in realtà rappresenta l’ultradestra), e Vladislav Davankov del partito di centro-destra “Nuova Gente”. Probabilmente nessuno di loro otterrà più del 5%.
A loro si potrebbe però aggiungere Boris Nadezhdin, candidato pacifista che la scorsa settimana ha dichiarato di aver ottenuto le firme necessarie per essere ammesso al voto. Curiosamente, la CEC non si è ancora espressa (ha tempo fino al 31 gennaio per farlo) – e molti sospettano che l’analisi delle schede sarà molto più attenta del solito.
Dopotutto parlare di pace quando si è in guerra (rectius, “operazione speciale”) è decisamente sconveniente. Sia in patria che all’estero, però, lunghe code si sono formate presso la sede della campagna elettorale di Nadezhdin per sostenere la sua candidatura con il partito “Iniziativa Civica”.
Che venga ammesso o meno, poco influirà sul plebiscito che Putin è destinato ad ottenere (forse in linea con il 77% del 2018). Un risultato reso giuridicamente possibile dalle riforme costituzionali del 2020, che hanno ‘azzerato’ i mandati precedenti e consentito allo zar 71enne di candidarsi per altri due mandati da sei anni.
E se fosse destinato a rimanere al Cremlino fino 2036, Putin finirebbe per aver governato per 32 anni quasi consecutivi (escludendo dal computo l’interregno Medvedev 2008-2012). Due anni più di Stalin, qualche mese in meno di Caterina II.