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January 17, 2024
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Houthi in Yemen: identikit del gruppo fondamentalista sostenuto dall’Iran

Dal 2014 controllano la capitale Sanaa con tutti i ministeri e la Banca centrale, oltre a vaste regioni del centro e del nord

Massimo JausbyMassimo Jaus
Houthi, continueremo ad attaccare le navi legate a Israele

Newly-recruited members of the Houthis' popular army hold up their weapons during a gathering at the end of a military training, in Sana'a, Yemen, 11 January 2024 - ANSA/EPA/YAHYA ARHAB

Time: 3 mins read

Lo Yemen da anni è sconvolto da una guerra civile, frutto di differenze religiose, tribali, del retaggio del colonialismo britannico, della povertà e della corruzione. Avversità usate e strumentalizzate da due paesi, Iran e Arabia Saudita, in una lotta indiretta tra di loro, che usano lo Yemen per via della sua posizione strategica all’imbocco del Mar Rosso. 

Ogni giorno davanti ad Aden, il principale porto meridionale dello Yemen, fanno la spola 80 petroliere provenienti dal Qatar, Kuwait, Emirati e Oman che dal Golfo Persico vanno nel Mar Rosso verso Suez per rifornire l’Europa di petrolio e gas naturale.

La guerra civile che da più di 40 anni sconvolge il paese è fomentata dall’Iran sciita contro i sunniti dell’Arabia Saudita. Dopo l’indipendenza dal Regno Unito nel 1967 lo Yemen è stato una repubblica marxista, un reame, una repubblica divisa in due regioni, Nord e Sud, per poi essere nuovamente unificato e di fatto diviso da una guerra civile… e abbandonato. Una terra di nessuno, piagata dalle rivalità tribali in cui hanno attecchito il fanatismo religioso e l’odio per l’Occidente.

Con poco petrolio, senza acqua, il paese è diventato una spina nel fianco usata dagli iraniani per contrastare i sauditi. Il gruppo degli Houthi nello Yemen sono fondamentalisti musulmani sostenuti dall’Iran. Da dieci anni costituiscono la principale forza militare e istituzionale del paese. Dal 2014 controllano la capitale Sanaa con tutti i ministeri e la Banca centrale, oltre a vaste regioni del centro e del nord da anni in lotta con le forze yemenite filo-saudite e quelle sostenute dagli Emirati Arabi Uniti che si spartiscono, con aspre rivalità, il centro-sud del Paese, incluso lo strategico porto di Aden. 

Le regioni orientali dello Yemen sono invece da decenni dominio del qaidismo locale, la setta fondamentalista musulmana nella cui madrassa si era formato Osama bin Laden. La stessa scuola che poi ha dato vita all’Isis. E qui aveva trovato rifugio l’imam radicale Anwar al-Awlaqi, cittadino americano legato ad al Qaeda e ricercato dagli Stati Uniti per terrorismo, ucciso dalla Cia con un drone. Anwar Al Awlaqi era nato a Las Cruces, in New Mexico, figlio di un diplomatico yemenita professore di agronomia. Laureato in ingegneria alla University of Colorado stava studiando per un dottorato alla George Washington University mentre era l’imam di una moschea a San Diego in California.

An armed Houthi fighter attends a mass funeral of 29 slain Houthi fighters who were killed in recent fighting against Saudi-backed government forces, in Sana’a, Yemen – ANSA/EPA/YAHYA ARHAB

Tra i suoi discepoli anche Nidal Hassan, il maggiore medico dell’esercito americano che a Fort Hood nel 2009 uccise 13 militari americani e ne ferì altri 30.  Insieme ad Anwar Al Awlaki venne ucciso nello stesso attacco anche Samir Khan, anche lui cittadino americano e direttore di Inspire, la rivista web vicina ad al Qaeda. Fatti questi che hanno cementato la retorica filo-iraniana contro gli Stati Uniti del governo di Sanaa, guidato dal leader Abdel Malek Houthi, che nel corso degli anni ha sviluppato un arsenale militare capace di colpire con missili balistici e droni di fabbricazione iraniana obiettivi distanti anche duemila chilometri.

Gli Houthi avevano guadagnato sostegno intorno nei primi anni del 2000 dagli sciiti yemeniti stufi della corruzione e della crudeltà del presidente Ali Abdullah Saleh, alleato dei sauditi, lanciando una campagna contro l’Occidente per l’invasione americana dell’Iraq. Le proteste popolari e diversi attentati costrinsero Saleh a dimettersi nel 2012. Due anni dopo, però, gli Houthi si allearono con il loro ex nemico Saleh per impadronirsi della capitale, Sana’a, e un anno dopo rovesciarono il nuovo presidente sostenuto dall’occidente, Abd Rabbu Mansour Hadi. Dopo che Hadi fu costretto a fuggire, il governo yemenita in esilio chiese ai suoi alleati in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti di lanciare una campagna militare, sostenuta anche dall’Occidente, per scacciare gli Houthi. Ne è seguita una catastrofica guerra civile che, secondo le stime delle Nazioni Unite, ha causato 377.000 morti e 4 milioni di sfollati. Nell’aprile 2022, le parti in conflitto avevano raggiunto un accordo per tregua. Un anno dopo il disgelo politico e diplomatico tra Iran e Arabia Saudita, mediato dalla Cina, aveva accelerato il dialogo tra Houthi e Riad, prolungando il cessate il fuoco, di fatto ancora in vigore. Il 10 ottobre scorso il leader Houthi aveva annunciato l’entrata del suo governo nel conflitto contro Israele a fianco di Hamas e del cosiddetto “asse della resistenza” guidato dall’Iran. 

Da allora, quasi ogni giorno, le forze yemenite hanno lanciato missili contro le petroliere in navigazione nel Mar Rosso tanto che a dicembre gli Stati Uniti hanno creato una coalizione marittima, Prosperity Guardian, per proteggere la libertà di navigazione. 

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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