Stanno facendo parecchio rumore le ultime dichiarazioni rilasciate da Robert F. Kennedy Jr., candidato presidenziale indipendente, nonché figlio di Robert e nipote di John Fitzgerald Kennedy.
Nel corso di un’intervista a Politico, infatti, l’avvocato sessantanovenne ha cercato di difendere la decisione presa dalla sua famiglia di autorizzare la sorveglianza governativa su Martin Luther King, definendola come “una mossa necessaria” visto il particolare periodo storico, caratterizzato da tensioni politiche e dalla lotta per i diritti civili.

Il candidato alla Casa Bianca ha poi spiegato che il presidente JFK ed il padre Robert, al tempo Procuratore generale, scelsero di mettere sotto controllo il pastore protestante in quanto “Stavano scommettendo non solo sul movimento per i diritti civili, ma anche sulla propria carriera. Sapevano che J. Edgar Hoover- in quegli anni indiscusso capo della FBI-voleva distruggere Martin Luther King ed il movimento per i diritti civili. Hoover, inoltre, disse loro che il capo di Martin Luther King era un comunista. Mio padre ha quindi dato il permesso all’FBI di intercettarli, in modo da poter dimostrare se i loro sospetti su King fossero giusti o sbagliati. Penso che, da un punto di vista politico, dovessero farlo”.
“Hoover era un razzista”, ha inoltre dichiarato Kennedy Jr, “non lasciava dubbi sulla sua posizione su tali questioni”. Il candidato presidenziale ha aggiunto, infine, che, se non fosse stato assassinato a Dallas, lo stesso JFK avrebbe provveduto a licenziare il potentissimo capo del bureau.

Alcuni documenti governativi declassificati rivelarono in seguito che l’FBI si impegnò in una prolungata campagna di sorveglianza contro il movimento per i diritti civili, in una misura molto maggiore di quanto fosse pubblicamente noto all’epoca. Come se non bastasse, il bureau inviò a King una lettera, in cui “suggeriva” al leader afroamericano di suicidarsi.
Come spiegato da Betty Medsger nel suo libro “The Burglary: the Discovery of J. Edgar Hoover’s Secret FBI”, il piano degli agenti federali prevedeva furti negli uffici dei principali leader attivisti, uso di informatori, controlli della posta, intercettazioni telefoniche e microspie nell’ufficio, nella casa e nelle camere d’albergo di King.

Naturalmente, ora le dichiarazioni di Robert F. Kennedy Jr. su quello che ancora oggi è ampiamente considerato un episodio vergognoso nella storia presidenziale, rischiano di essere un clamoroso autogol per la sua stessa corsa alla Casa Bianca. Come spiegato anche da Politico, nel corso degli ultimi mesi l’avvocato di Washington ha cercato di avvicinare al proprio progetto elettorale gli afroamericani che solitamente propendono per il Partito Democratico: con le affermazioni sul caso King, Kennedy Jr. probabilmente dovrà rivedere un attimo i propri piani.
Ironia della sorte, il candidato presidenziale ha rilasciato tali dichiarazioni proprio mentre si trovava ad Atlanta, città natia dell’indimenticato leader del movimento per i diritti civili.