Gli algoritmi sono in grado di generare cattive notizie e di veicolare la disinformazione. Un articolo pubblicato dall’agenzia ANSA affronta un tema di cui si sta discutendo tantissimo: “la disconnessione selettiva” (Digital detox). Quando siamo troppo stanchi, desideriamo dedicarci a noi stessi e rilassarci. Purtroppo, durante il nostro riposo, continuiamo a ricevere continue informazioni attraverso lo smartphone.
La grande trasformazione, che sta coinvolgendo la modalità di consumare i media, è anche conseguenza dell’arrivo dei social network che sono divenuti una vera e propria fonte di informazione. I rischi che corriamo sono almeno due: credere o condividere una fake news o di trovare una “bad news” (cattiva notizia) che può modificare il nostro stato d’animo.
Sopraffatti dalle brutte notizie, siamo portati a selezionare e a fare una distinzione ben precisa di quelle che intercettiamo. Due report di Reuters Institute, il Digital New Reports 2022 e 2023, documentano la disconnessione selettiva. Nel report del 2022 si legge: “Questo tipo di “evitamento selettivo” è raddoppiato negli ultimi cinque anni”. La percentuale attestata in Italia è del 35%. Nel report del 2023, si rileva che il fenomeno ha una rilevanza globale. Guardare un notiziario alla tv, leggere alcune notizie e i siti di notizie è, diciamolo, sempre più spesso angosciante e deludente.
Simona Sirianni ha scritto in un articolo, pubblicato su iodonna.it, come pratichiamo la disconnessione selettiva. Ci sono diversi modi per evitare le cattive notizie. Il Reuters Institute, durante la sua indagine, ha rilevato: “Le persone spengono la radio o scrollano in avanti sui social quando arrivano determinate notizie. Un secondo gruppo cerca di evitare le notizie scegliendo azioni più specifiche: le controlla meno spesso, ad esempio disattivando le notifiche del cellulare, o non guarda le notizie come ultima cosa la sera. Altri scelgono invece di evitare alcuni argomenti “emotivamente faticosi” che abbassano l’umore e aumentano l’ansia”.
Il giornalismo di soluzione, solutions journalism, offre un approccio alla notizia che permette alle persone di avvicinarsi ai problemi e di continuare comunque a sperare. Ormai, il lettore è parte attiva e lo dimostra la grande quantità di informazioni che legge sulle piattaforme virtuali. Trovare una possibile soluzione negli articoli che legge permette al lettore di sentirsi meno confuso e smarrito.
Molte testate giornalistiche stanno cercando di trovare un rimedio e di fronteggiare il cambiamento dell’industria dell’informazione, cercando di puntare
alle notizie più positive e di indicare anche soluzioni, non di evidenziare solo i problemi. Recentemente, il portale Avvenire ha reso nota la notizia che la Diocesi di Catania ha promosso un corso per aspiranti comunicatori sotto la guida di un team di professionisti dell’informazione. Obiettivo del corso è “formare comunicatori capaci di trasmettere speranza e promuovere un dibattito costruttivo”.
Ugualmente, l’ANSa riporta che “Amanda Ripley, una nota giornalista di Time e scrittrice americana ha cominciato a formare giornalisti per coprire diversamente i conflitti polarizzanti, in partnership con il Solutions Journalism Network”. Di fatto, “Ripley è arrivata alla conclusione che ai media mancano tre ingredienti: la speranza (la cui assenza genera depressione, ansia, malattie), l’azione e la dignità”.
Il giornalista ha una “mission” precisa da seguire: intercettare, comprendere e interpretare le emozioni. Non si può puntare alla spettacolarizzazione delle notizia, solo per ottenere “like” e consensi sui social network. La comunicazione non può avvenire solo attraverso un post o un video, strutturato e immaginato per i social network. C’è bisogno di uno sguardo orientato al cuore, cosi come ci ha suggerito Papa Francesco, perché: “dal cuore scaturiscono le parole giuste per diradare le ombre di un mondo chiuso e diviso ed edificare una civiltà migliore di quella che abbiamo ricevuto”.