Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, non si sbilancia. Nemmeno l’Iran si pronuncia. Guerra allargata, guerra non allargata? Allargata quanto? Regionale con il coinvolgimento di attori esterni o relativamente limitata a quelli regionali? Prova di guerra mondiale con il rischio di sfiorare il pericolo nucleare o esercizi quasi concordati tra i nemici per definire un nuovo ordine regionale? O mondiale?
L’aria è brutta e basta una scintilla, un’altra strage in Israele, per far saltare il cestino dei ragionamenti. Paradossalmente una delle considerazioni di fondo riguarda le armi. Sono sufficienti? La guerra in Ucraina e quella che sta devastando Gaza hanno consumato le riserve negli arsenali di mezzo mondo – compresi quelli negli Usa – e a fabbricarne altri ci vuole tempo e manodopera sofisticata.
L’altro ragionamento che frena, rallenta, la corsa verso morte e devastazione è la mancanza di un’idea, una ideologia, una formula per il dopo. Il futuro assetto del Medio Oriente è un chiaro esempio. Già a novembre i leader israeliani, non solo di estrema destra, fecero sapere alla Casa Bianca che non doveva parlare costantemente di quella “vecchia idea” di uno stato palestinese indipendente accanto a Israele. Dopo l’orrendo massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre l’opzione, per gli ebrei israeliani, dicevano, non era più nemmeno un’ipotesi su cui ragionare.
Il conflitto verbale continua e la destra sembra vincente. Martedì il Dipartimento di Stato ha criticato i commenti fatti dai ministri israeliani di estrema destra Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir che sostengono il trasferimento e l’insediamento dei palestinesi al di fuori della Striscia di Gaza. “Questa retorica è incendiaria e irresponsabile”, ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato Matt Miller in una rara dichiarazione che critica due funzionari israeliani per nome. “Ci è stato detto ripetutamente e costantemente dal governo di Israele, anche dal primo ministro, che tali dichiarazioni non riflettono la politica del governo israeliano”, ha precisato Miller.

La dichiarazione degli Stati Uniti è arrivata dopo che Smotrich, ministro delle finanze e leader del partito del sionismo religioso di destra, aveva affermato che Israele dovrebbe “incoraggiare l’emigrazione volontaria” da Gaza, che ospita circa 2,3 milioni di palestinesi. Ieri il ministro ha sostenuto che oltre il 70 per cento del pubblico israeliano sostiene l’incoraggiamento della “migrazione volontaria” dei residenti della Striscia di Gaza e il loro assorbimento in altri paesi. Il suo collega di estrema destra Zvi Sukkot, del partito del sionismo religioso, ha sostenuto che “l’insediamento ebraico sulle rovine dei villaggi palestinesi è un messaggio che dobbiamo trasmettere”.
Buona parte di Israele, dal Mediterraneo al fiume giordano, è costruita sulle rovine di villaggi arabi, distrutti durante la guerra del 1948 che ha portato alla nascita del paese.
Netanyahu e la maggioranza dei suoi ministri evitano di approvare le dichiarazioni dei ministri estremisti e nei prossimi giorno le condanneranno nei colloqui richiesti dai dirigenti americani che stanno arrivando in Medio Oriente, inviati dal presidente Bidan che non sembra più capace di gestire i risultati dei sondaggi di opinione a poche mesi dalle elezioni presidenziali e che sempre meno approvano la linea della sua Casa bianca chiaramente ambigua nei confronti della guerra. E di Israele.

La stessa linea guida l’atteggiamento ambiguo nei confronti degli alleati europei di Israele. Tel Aviv, continua con i suoi attacchi a Gaza che vorrebbe svuotare della sua popolazione palestinese e prepara i suoi militari – riservisti e non – a intervenire, se necessario, in Libano e in Cisgiordania se la situazione nel territorio occupato dovesse precipitare e giustificare una vasta azione contro i palestinesi che vi protestano contro l’occupazione.
Una voce importante si è levata contro dall’interno di Israele contro il premier. Aviva Siegel, che è stata tenuta in cattività da Hamas a Gaza per 51 giorni, ha espresso preoccupazione per il fatto che Benjamin Netanyahu stia dando la priorità alla guerra rispetto al ritorno degli ostaggi in Israele. “Ho la sensazione che Netanyahu voglia continuare la guerra perché vuole vincere la guerra, ma non può continuare la guerra. Deve andare a un cessate il fuoco e far uscire gli ostaggi: ora il più velocemente possibile, perché 88 giorni sono sufficienti”.
Siegel, il cui marito israelo-americano è ancora tenuto in ostaggio, ha aggiunto: “Non sono un politico e ci sono cose che non capisco. Ma so che ci deve essere un cessate il fuoco per farli uscire”. Ha notato che mentre era tenuta in cattività, temeva per la sua vita per le campagne di bombardamento israeliane. “Hanno bombardato tutto il tempo. Notte, giorno, ogni minuto”.