Morto all’apice del successo, suicida in macchina con una mattonella di carbone a fianco per creare esalazioni di anidride carbonica. Se ne è andato così a 48 anni Lee Sun-kyun, noto soprattutto per il suo ruolo nel celebratissimo film Parasite, rivelazione del cinema sudcoreano. La polizia lo cercava: la moglie aveva denunciato la sua scomparsa dopo aver ritrovato un biglietto di addio.
Familiari disperati, colleghi attori e personalità del mondo del cinema e fan si sono riuniti a Seul per l’ultimo saluto al divo del film premiato con sei Oscar. Il corteo funebre è partito dalla camera ardente del Seul National University Hospital. Alla guida la moglie, Jeon Hye-jin e i figli, uno di loro portando un ritratto del padre.
Lee era stato coinvolto in uno scandalo di droga a ottobre scorso e convocato per tre volte dalla polizia. L’ultimo interrogatorio risale alla vigilia di Natale, era durato 19 ore. Il caso punta i riflettori sulla severità delle leggi anti droga nel paese: all’attore si contestava di aver fatto uso di marijuana e altre droghe psicoattive con una cameriera che, secondo lui, lo aveva incastrato per ricattarlo. Secondo i media sudcoreani aveva visitato varie volte il quartiere Gangnam di Seul dove avrebbe comprato droga.
Si può solo immaginare la vergogna che deve averlo sommerso: la sua morte è al tragico incrocio fra la severità della legge, e il senso dell’onore (o del disonore) fortemente sviluppato nel paese. In Corea del Sud i reati connessi all’uso di stupefacenti sono punibili con almeno sei mesi di carcere per la prima condanna, che possono salire a 14 anni per i recidivi o per gli spacciatori.
Il caso dell’attore non è il solo: nelle ultime settimane la politica di repressione del consumo di stupefacenti ha portato a una serie di accuse contro attori, cantanti, influencer, eredi delle famiglie più ricche del paese; fra gli altri il cantante G-Dragon che però è stato scagionato.
In ottobre, Lee aveva parlato pochi minuti con i giornalisti prima di entrare in una stazione di polizia per un incontro con gli inquirenti. “Mi scuso sinceramente per aver causato grande delusione a tante persone per il mio coinvolgimento in questo spiacevole incidente” aveva detto, “mi dispiace per la mia famiglia, che sta sopportando un grande dolore” aveva detto. La sua morte è al tragico incrocio fra la severità della legge, e il senso dell’onore (o del disonore) fortemente sviluppato nel paese.

Lee si era laureato alla prestigiosa Università nazionale delle arti di Seul ed aveva debuttato come attore nel 2001 in una sitcom, Amanti. Molto celebrato in patria, era esploso a livello internazionale nel 2019 per la sua interpretazione di un ricco, superficiale patriarca in Parasite di Bong Joon-ho, pellicola che nel 2020 sbancò agli Oscar vincendo sei statuette fra cui miglior film, miglior film straniero, miglior regia.
Aveva poi recitato nella prima serie originale sudcoreana di Apple TV+, Dr. Brain, storia di un gelido neurologo che fa esperimenti sul cervello per risolvere un mistero di famiglia. Il suo ultimo ruolo è di quest’anno, nel film horror Sleep, dove era un marito il cuo sonnambulismo provoca terribili conseguenza; Sleep è stato presentato alla “Semaine de la Critique” al festival di Cannes.