Sempre più coppie e single in America si affidano alla fecondazione in vitro per avere figli – la procedura attualmente interessa circa il 2% delle nascite – e spesso lasciano gli embrioni in esubero nelle celle frigorifere degli ospedali.
Sono oltre un milione quelli inutilizzati, ancora conservati nelle strutture, che possono addebitare fino a $500 all’anno per la loro crioconservazione.
La fecondazione in vitro FIV è una tecnica di riproduzione assistita che consiste nell’unione realizzata in laboratorio di un ovulo e di uno spermatozoo, del partner maschile della coppia o di un donatore, allo scopo di ottenere embrioni già fecondati da trasferire nell’utero materno.
I medici dopo anni di sperimentazione – la prima bambina Louise Brown nacque in provetta nel luglio del 1978 a Oldham, una cittadina nel Nord dell’Inghilterra – , hanno accertato che i tassi di successo più elevati vengono ottenuti attraverso l’impianto di un solo embrione indipendentemente dal numero prelevato.
La tecnica che risultata fondamentale per affrontare casi di infertilità pone adesso delle questioni etiche, infatti molte persone una volta ritenuto completo il loro nucleo familiare si sono interrogate su quale dovesse essere il loro dovere nei confronti di questi embrioni inutilizzati.

Gloria Wesley – come raccontato a Wall Street Journal – nel 2018, all’età di 40, si era sottoposta a una FIV e aveva dato alla luce una bambina ma tre dei suoi ovuli fecondati – che la donna non aveva mai considerato come figli – erano finiti nei gelidi contenitori della clinica.
Fra le possibilità che le venivano offerte oltre alla conservazione anche una donazione a centri ospedalieri per studi scientifici, o a altre coppie meno fortunate.
La donna insegnante di algebra in una scuola di Dalton – che vive a 15 minuti da Pittsfield nel Massachusetts – decide nonostante i pareri contrari di amici e parenti di “offrirli per onorare la vita”.
Tuttavia Wesley pone delle condizioni, coloro che utilizzeranno i suoi embrioni dovranno sempre tenerla informata sulle condizioni dei nascituri e dovrà avere la possibilità di incontrarli in futuro. “Voglio avere ancora una connessione”, ha concluso.
La donna già madre adottiva di tre bambini, due femmine e un maschio rispettivamente di 7, 12 e 14 anni, ha aggiunto di aver precedentemente preso in affido più di 70 ragazzi nel corso degli anni, alcuni soltanto per una o due notti.
Per semplificare l’incontro fra gli embrioni e i destinatari sono nati anche gruppi come Embryo Connections, con sede a Denver, negli Usa. Nel loro programma viene riportato: “Il tuo percorso verso la genitorialità includeva la fecondazione in vitro, magari con la tua genetica e/o con un donatore. Se hai embrioni rimanenti, dovresti essere in grado di sentiti a tuo agio sul futuro di questi bambini”.