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December 19, 2023
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La fine di un’epoca: negli USA chiudono in massa i terminal dei bus

La fine del simbolo dell’American life mette a rischio soprattutto i cittadini a basso reddito

Filomena TroianobyFilomena Troiano
La fine di un’epoca: negli USA chiudono in massa i terminal dei bus

Greyhound Lines, in the livery introduced in 2009, arrives in New York City. (Wikipedia)

Time: 3 mins read

La fine del simbolo dell’American life mette a rischio soprattutto i cittadini a basso reddito
Circa sessanta milioni di statunitensi, la cui mobilità dipende dagli autobus interurbani, rimangono a
piedi. Fin dall’inizio del 20esimo secolo i bus hanno trasportato le famiglie degli Stati Uniti in tutto il
Paese, sia quelle ricche che quelle povere. E sebbene oggi le linee di Greyhound, Trailways e Megabus
trasportino il doppio del numero delle persone che ogni anno si servono delle ferrovie, l’intera rete si
ritrova ad affrontare una crisi crescente: i bus terminal stanno rapidamente chiudendo.

Prima fra tutte, la compagnia Greyhound fondata nel 1914 a Hibbing, nel Minnesota. Divenne la più
grande società di autobus interurbani degli Stati Uniti. A partire dagli anni Trenta, costruì centinaia di
terminal ultramoderni, spesso nello stile architettonico detto “Streamline Modern” che richiamava le
sagome degli autobus con il levriero. In molte città, per molto tempo le bus station furono le uniche
attività aperte 24 ore su 24. Tuttora rappresentano simboli atemporali utilizzati in scene iconiche di
molti film, da Colazione da Tiffany a Forrest Gump.

Ora si apprende che a Cincinnati a Charlottesville in Virginia, Houston, Louisville, Philadelphia, Portland
in Oregon e Tampa in Florida, i depositi hanno chiuso. Si apprestano a terminare il servizio anche hub
come Chicago e Dallas, centri di elevata importanza. In molte città, Greyhound e altre compagnie hanno
trasferito le loro fermate lontano dai centri urbani, che sono spesso inaccessibili con i mezzi pubblici,
passando al servizio a bordo strada, i cosiddetti curbside stop, o hanno eliminato del tutto le linee.

A pagarne le spese sono soprattutto minoranze, persone con disabilità e disoccupati. Si sta togliendo
mobilità ai cittadini a basso reddito che hanno poche opzioni per potersi muovere e di conseguenza più
di un quarto di questi non viaggia – secondo i sondaggi dei governi del Midwest esaminati dalla DePaul
University di Chicago.

Sebbene la crisi degli autobus sia iniziata con la costruzione delle autostrade, con l’acquisto crescente
delle automobili e con l’aumento delle linee aeree già negli anni Sessanta, oggi le cause sono in buona
parte legate ai costi di gestione dell’intero sistema: alte spese di mantenimento delle stazioni e tasse di
proprietà innanzitutto.

Secondo motivo, il modello Chinatown-bus. Nel 1990 i passeggeri scesero da 140 milioni del 1960 a 90
milioni, quando iniziarono ad operare gli autobus da una Chinatown ad un’altra Chinatown soprattutto
lungo il cosiddetto corridoio di nordest. Compagnie a basso costo che utilizzavano (tuttora) i marciapiedi
al posto delle stazioni. Il successo del modello Chinatown-bus ha portato al boom del trasporto a bordo
strada (con i passeggeri in attesa sui marciapiedi) introducendo mezzi nuovi che come prima novità
offrivano internet.

Così nel 2006 arrivò Megabus, seguito da BoltBus. Il servizio a bordo strada ha consentito alle aziende di risparmiare riducendo i costi di manodopera e quelli elevati di gestione dei terminal ma di solito operano solo nelle grandi città e non offrono percorsi dove poter fare trasferimento.

Altra ragione, le risorse governative sono spesso inesistenti o sfruttate male: le agenzie statali e federali
hanno investito poco in questo settore affidandosi a società private per fornire un servizio pubblico
essenziale a passeggeri per lo più a basso reddito.

Infine, sembra incredibile, esiste anche il fattore immobiliare. Le chiusure dei terminal hanno subito
un’accelerazione da quando Greyhound, il più grande vettore -oggi di proprietà della tedesca
FlixMobility – ha venduto le strutture a investitori esterni, tra cui l’hedge fund Alden Global Capital che a
sua volta si è rivolta ad agenzie immobiliari. L’anno scorso, la sussidiaria di Alden, la Twenty Lake
Holdings, ha acquistato 33 stazioni Greyhound per 140 milioni di dollari. La Alden è meglio nota per aver
acquisito la Chicago Tribune, New York Daily News e The Baltimore Sun, tagliando personale e vendendo
alcuni degli iconici edifici.

Ma le chiusure dei terminal causano problemi dall’effetto a catena. Innanzitutto, molti siti si sono
trasformati in luoghi di degrado, dove senzatetto, criminalità e altro hanno aggiunto ulteriori problemi
da risolvere. Con i curbside stop, i viaggiatori non possono usare il bagno e/o stare al riparo dal clima
rigido, o prendere qualcosa da mangiare mentre aspettano. Le persone che viaggiano a tarda notte o al
mattino presto, a volte con lunghe soste, non hanno un posto dove aspettare o dormire in sicurezza.
Ancor peggio al freddo, con la pioggia, con la neve o al caldo estremo.

Le cose potrebbero cambiare in positivo sull’esempio di Atlanta, dove quest’anno Greyhound ha aperto
un nuovo terminal dedicato grazie al sostegno finanziario del governo federale. La stazione, di oltre
quattromila metri, al contempo è utilizzata da altri operatori e supporta il trasporto pubblico.

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Filomena Troiano

Filomena Troiano

Originaria di Anzano, in provincia di Foggia, è una ghostwriter e scrive di moda da New York City, dove vive da 18 anni

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