Kate Cox, la donna di 31 anni che si è rivolta ai giudici per ottenere il diritto di aborto ha deciso di lasciare lo Stato per interrompere altrove la gravidanza. Poche ore dopo che era partita, la Corte Suprema si è espressa contro il suo appello.
“Kate desiderava disperatamente essere assistita dove vive, e riprendersi a casa circondata dalla famiglia” ha detto Nancy Northup, direttrice del Center for Reproductive Rights che difende la donna in tribunale, in un comunicato su social X. “Kate ha i mezzi per lasciare lo Stato, ma la maggioranza delle donne non li hanno, e una situazione come questa potrebbe essere una condanna a morte”.
Kate Cox, che ha già due figli, è al centro della battaglia legale in questo Stato dove abortire è quasi impossibile per definizione: concesso solo entro la sesta settimana, o quando si percepisce il battito cardiaco del feto. È uno dei 14 Stati ultraconservatori dell’Unione che hanno limitato quasi del tutto il diritto all’interruzione di gravidanza da quando l’anno scorso la Corte Suprema di Washington ha revocato la tutela federale sull’aborto; ora ogni Stato decide per sé. Dopo le sei settimane, in Texas è possibile fare appello in tribunale per motivi legati a rischi mortali per la salute della madre, e chiedere a un giudice una deroga.
A questa procedura Kate Cox, alla ventesima settimana, si è rassegnata dopo aver scoperto che il suo terzo figlio è portatore di trisomia 21, malattia genetica che determina gravi malformazioni; ha già problemi cardiaci e la spina dorsale distorta, secondo le statistiche il 95 dei bimbi malati muoiono entro pochi giorni dal parto. Cox si era già ritrovata varie volte in pronto soccorso con contrazioni uterine e perdite di liquidi; ha avuto due parti cesarei e la sua difesa sostiene che senza un aborto si mette a rischio la sua futura capacità di procreare oltre che la sua salute.
Il 5 dicembre, la giovane donna ha fatto causa allo Stato e ha ottenuto 14 giorni di esenzione dalla legge. Ma l’Attorney General Ken Paxton ha chiesto alla Corte Suprema del Texas di bloccare la decisione perché la giovane non avrebbe dimostrato di avere un problema “potenzialmente letale” o sintomi che la mettano “a rischio di morte” o di gravi danni fisici. La Corte Suprema ha accolto la richiesta di Paxton, e doppo appena quattro giorni si è detta d’accordo con lui, rifiutando a Kate il permesso di abortire.
Ma Kate Cox alla fine ha deciso di non aspettare.
Un nuovo capitolo nella storia giurisprudenziale dell’aborto negli Stati Uniti: un capitolo che vede le donne incinte obbligate a chiedere alla giustizia il permesso perché i loro medici possano agire secondo quanto ritengono opportuno ‘in scienza e coscienza’, senza rischiare conseguenze penali.
La Corte Suprema del Texas sta già valutando un’altra causa, intentata da un gruppo di donne e dai loro medici (Zurawski vs Texas), anche loro rappresentati dal Center for Reproductive Rights. Queste donne dicono di essere state costrette a proseguire la gravidanza nonostante i pericoli per la loro salute, perché la legge texana è così vaga a riguardo delle eccezioni previste, che i medici anche di fronte a quelli che ritengono rischi concreti per la donna, sono estremamente cauti ad intervenire.
Nel 2023, fino a settembre in Texas sono stati praticati 34 aborti. Nel 2020, ultimo anno prima dell’entrata in vigore della nuova legge, ce ne furono oltre 50mila.
Altri casi si sono verificati in altri Stati, con altri allarmi da parte dei medici: le nuove leggi impediscono le interruzioni di gravidanza anche in caso di gravi complicazioni.
La settimana scorsa una donna, anonima, in Kentucky, incinta di otto settimane, ha fatto causa in una corte del profondo Sud, il circuito di Jefferson County, assistita da Planned Parenthood ed altre associazioni. “Sono un’orgogliosa cittadina del Kentucky e amo la vita e la famiglia che ho qui” dice la donna secondo i documenti consegnati alla corte, “ma sono arrabbiata perché sono incinta e non voglio esserlo e il governo interferisce nella mia vita privata e mi impedisce di abortire. È la mia decisione, non del governo o di nessun altro”. Di più: la sua è una class action, “a tutela di tutte le donne del Kentucky che sono incinte e vogliono abortire”.