Stavolta il mondo ha visto tutti gli orrori sia i massacri di Hamas che le bombe su Gaza e anche gli Stati Uniti si interrogano sui costi umani insopportabili di questo conflitto
A memoria di tv e giornali una guerra in medio oriente c’è sempre stata. A volte accompagnata da precisazioni di tempo “dei sei giorni” o “del Kippur” altre da scansioni periodiche “prima, seconda intifada” altre ancora da ciniche definizioni tecniche come “piombo fuso” “margine di protezione” e tra una guerra e l’altra c’era sempre “tensione” da quelle parti. Siamo stati abituati a vederla raccontata così quella regione del mondo, in conflitto permanente, da quando è nato lo Stato di Israele.
Quindi anche ora coltiviamo il retro pensiero che lì le cose vanno in questo modo, che prima o poi anche questa guerra finisce, la tensione resta, ne riparleremo quando sarà. E però c’è qualcosa che stavolta non riusciamo a dirci quando ricapitoliamo le ragioni e i torti, ribadiamo le analisi e gli schieramenti per capire chi sta con chi, invitiamo alla calma chi parteggia senza dubbi e incertezze.
Quello che non riusciamo a dirci è che stavolta una guerra per la prima volta Israele la sta perdendo. E non è quella dell’invasione di terra, nemmeno quella del che cosa succederà dopo a Gaza e in tutta quella terra contesa dal fiume al mare. La guerra che sta perdendo é quella dell’umanità, quella per la quale non esistono più le tue ragioni se non sai a chi raccontarle, se l’idea del mondo che mostri al mondo é quella di cancellare ogni futuro che non sia il tuo. Ora questo é il momento del pezzo -anzi siamo già in ritardo- in cui non si può non ricordare che cosa è stato il 7 ottobre.

Una strage di ebrei compiuta dai terroristi di Hamas come non si vedeva dai tempi dei nazisti e non so nemmeno se basta questo a definirla. Il mondo si era fermato incredulo prima e poi inorridito quel giorno, a mano a mano che notizie foto e video componevano il mosaico del massacro.
Dopo sono arrivati gli altri giorni. La risposta legittima necessaria scontata dicevano tutti, gli impegni solenni, distruggeremo Hamas e riporteremo a casa gli ostaggi.
Il copione violentissimo sulle cose da fare controfirmato praticamente da tutti gli alleati, anche dai “si ma” europei. Poi però é arrivato il come farle, le cose e qui per Israele -meglio sarebbe dire per questo Israele guidato da Netanyahu- è iniziata la guerra che sta perdendo.
Quando con un gruppo di giornalisti nell’agosto del 2014 chiedemmo di entrare a Gaza l’operazione “margine di protezione” era praticamente finita. Qualche razzo ancora partiva da Hamas e qualche bomba continuava a cadere ma l’esercito israeliano aveva fatto il lavoro, ci disse andate, vi teniamo comunque d’occhio. La loro idea era guardate come siamo stati chirurgici nel colpire e raccontate. La nostra fu che vedemmo interi quartieri distrutti e migliaia di sfollati e raccontammo quello avevamo visto. Alla fine ci fu qualche rimbrotto ma loro avevano incassato l’apertura democratica alla stampa e noi la storia da portare a casa.
A ripensare a quei giorni oggi viene da sorridere se non fosse impossibile. I due mesi di questa guerra sono difficili da paragonare a qualunque altra di questo secolo. Non solo per la quantità di morti al giorno, per il numero e la potenza delle bombe ma soprattutto perché l’abbiamo vista tutti, tutta, subito.

E non per merito dei giornalisti internazionali che stavolta l’esercito di Israele si è guardato bene dal fare entrare se non in missioni blindate ma perché lì dentro Gaza c’erano loro, i reporter locali che sono stati i nostri occhi e le nostre mani a tenere telefoni e camere e microfoni e a farci vedere ogni giorno i pezzi della storia. Abbiamo scritto del loro coraggio, ormai ricordiamo i loro nomi come fossero amici, trepidiamo per loro che ci raccontano che lo spazio si stringe ogni giorno di più. Grazie a loro vediamo i volti di quei bambini che sono sempre stati solo numeri (e anche messi in dubbio), la distruzione senza limiti che li circonda, la disperazione di chi sopravvive, per ora.
Sono stavolta alla pari le storie delle vittime, finalmente tragicamente alla pari nel racconto. Le immagini dei kibbutz israeliani devastati, dei ragazzi del rave massacrati, lo strazio dei genitori che aspettano tremanti di sapere se i figli sono ostaggi ancora vivi, tutto raccontato dagli inviati del mondo, di là invece aggrappati ai telefonini e alle videocamere a corto di batterie hanno saputo resistere giorno dopo giorno. E così abbiamo visto, ha visto il presidente Biden e la sua vice Harris, ha visto chi voleva vedere e questa guerra é diventata insopportabile non tanto per chi vive di giudizi già confezionati ma per tutti quelli amici di Israele che non vogliono vederlo destinato ad un futuro di odio e di guerra permanente. Se il copione condiviso era distruggere Hamas il film che il mondo sta vedendo é la distruzione di Gaza. E stavolta sarà difficile dire che è sempre stato così da quelle parti.