C’è molto in gioco nel referendum che oggi porta alle urne i venezuelani. Il presidente Nicolas Maduro, al potere dal 2013, chiede in sostanza ai cittadini carta bianca per prendersi l’Esequiba, regione della vicina Guyana. Ne fa una questione di “identità nazionale”, ma si tratta soprattutto di petrolio.
Questa regione di giungla copre buoni due terzi del territorio della Guyana e da oltre un secolo è fonte di tensione fra i due paesi, esplosa però dal 2015 quando la statunitense ExxonMobil ha scoperto il petrolio al largo dell’Esequiba.
Il referendum, che è solo consultivo, chiede ai venezuelani – in cinque domande – se contestino le decisioni internazionali che attribuiscono l’Esequiba alla Guyana; ma una domanda in particolare, la quarta, chiede se siano d’accordo a opporsi “con ogni mezzo, in base alla legge”, all’uso “unilaterale” del mare al largo dell’Essequibo, un riferimento alla possibilità che la Guyana distribuisca licenze di sfruttamento petrolifero.
Il timore è che “con ogni mezzo” possa includere anche mezzi militari; cosa farà Maduro se la risposta delle urne sarà come probabile un risonante sì? C’è già un progetto delle forze armate venezuelane per costruire un aeroporto vicino al confine con la Guyana.
Il Venezuela ha le riserve di petrolio più ampie del mondo ma dal 2019 Il governo Maduro è sottoposto a sanzioni degli Stati Uniti, nonché a pressioni internazionali perché nel 2024 si tengano libere elezioni nel paese.
Washington recentemente ha alleggerito le sanzioni imposte all’industria petrolifera di Caracas, chiedendo però in cambio che sia revocata la messa al bando dalla politica della principale avversaria di Maduro, Maria Corina Machado dietro a cui si sono unite tutte le opposizioni. Al momento, però, Machado resta impossibilitata a candidarsi.
In Venezuela il governo autoritario e populista è di lunga data – prima di Maduro, era guidato dall’ora defunto Hugo Chavez. Il paese benché ricchissimo è in preda alla crisi economica, chi può se ne va a cercare fortuna nelle nazioni vicine. Maduro è spalleggiato dalla Russia – in aprile ha ricevuto la visita del ministro degli Esteri Sergei Lavrov – e in misura minore dalla Cina: in settembre è stato ricevuto dal presidente Xi Jinping a Pechino per la firma di numerosi documenti per la cooperazione bilaterale in materia di economia, commercio e turismo, e perfino aerospaziale: quello che Maduro non ha ottenuto però sono contributi finanziari immediati per alleviare la crisi che attanaglia il paese.
La storia dell’Esequiba è lunga e come tutte le questioni coloniali, complessa: nel 1899 un tribunale d’arbitrato la attribuì alla Gran Bretagna allora al potere in Guyana. Nel 1966 la Guyana divenne indipendente e fu creata una commissione per esaminare le rivendicazioni venezuelane; non si giunse mai a una soluzione.
Con la scoperta del petrolio la questione è tornata impellente. Gli Stati Uniti non vogliono che Caracas metta le mani sui nuovi giacimenti; la Guyana ovviamente vuole tenerli e ha portato il caso davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) all’Aia, il principale tribunale delle Nazioni Unite. La Corte nel 2020 ha stabilito di avere giurisdizione sulla vicenda ma non si è ancora pronunciata nel merito.
Intanto la Guyana in settembre ha tenuto un’asta per le licenze d’esplorazione del giacimento. E poco più di un mese fa è stata annunciata la scoperta di un nuovo giacimento “significativo”.
Resta da vedere se il referendum di Maduro sia prima di tutto un’arma di politica interna, o se il presidente intenda agire legittimato dal risultato.