In una guerra tradizionale l’obiettivo è di uscire vittorioso. Nel conflitto tra Hamas e Israele i giochi e gli obiettivi sono diversi, complessi, radicati nello storico conflitto tra il popolo palestinese e il popolo ebraico israeliano ma anche nella politica interna israeliana che oggi vede l’elettorato spaccato. Destra e sinistra sono termini obsoleti e come hanno dimostrato le manifestazioni di popolo che per mesi, prima del 7 ottobre, hanno riempito le piazze da nord a sud d’Israele, il paese è diviso per i giochi di un solo uomo, il premier Benjamin Netanyahu.
È sufficiente leggere i numerosi comunicati dell’ufficio del primo ministro o guardare come salta da una foto opportunity all’altra, come si presenta sicuro e baldanzoso davanti alle telecamere, per capire che la situazione, la guerra, va avanti senza calcolare il peso dei morti e feriti, senza guardare o pensare molto al futuro. ‘C’è aria di guerra civile’, insistono molte delle persone con le quali ho parlato in questi giorni. Israeliani ebrei contro altri ebrei israeliani.
La rabbia e l’odio nei confronti di Hamas aumentano, come aumenta la rabbia nei confronti di tutto il popolo palestinese, ma sale giorno dopo giorno anche la rabbia e, forse, l’odio, nei confronti dell’attuale governo. Netanyahu sa che se finisse domani l’assalto a Gaza, se il cessate il fuoco fosse permanente o quasi, forse riuscirebbe a riportare a casa gli ostaggi, cinque, quattro, due alla volta, ma parallelamente si rimetterebbe in moto il processo giudiziario cominciato nei suoi confronti. Israele ha molti difetti ma il suo apparato giudiziario si è dimostrato molto capace di colpire i politici corrotti o esponenti del governo o delle forze armate rei di reati comuni. Un presidente è finito in carcere; come anche un premier, un generale. E i reati di cui è accusato Netanyahu non sono meno gravi di quelli che li portarono dietro le sbarre.
Fino a quando si combatte però, fino a quando può gridare giorno dopo giorno che ‘riporterò a casa gli ostaggi’, che vuole ‘distruggere Hamas’, i leader religiosi, fanatici e il loro esercito di militanti responsabili dell’assalto del 7 ottobre, il paese appare disposto ad attendere. Ma questo riguarda Netanyahu. In ballo c’è molto di più. Se dovesse cadere il suo governo difficilmente – a leggere i sondaggi quotidiani sui media israeliani – gli uomini al potere tornerebbero a gestire il futuro del paese. Non che gli altri, i politici in attesa di sostituire Netanyahu, hanno idee concrete sul futuro.
Anche i pochi che fino a quest’estate erano alla ricerca di una formula perché ebrei e palestinesi potessero condividere la ‘terra santa’, sono senza idee. Qualcuno, oggi, in mancanza di altro ha suggerito di continuare i bombardamenti e di spostare l’intera popolazione civile di Gaza in campi profughi da allestire nel deserto israeliano del Negev e far gestire da militari americani o europei. Un piano non per il dopo ma solo per ridurre il numero delle vittime civili e non far arrabbiare il presidente americano. Biden sta a fianco di Israele ma la strage degli innocenti non funziona per la Casa bianca, soprattutto quando sta per cominciare la campagna elettorale.”