Era il 1953 quando Marilyn Monroe interpretava Lorelei Lee nel film “Gli uomini preferiscono le bionde”, cantando Diamonds are a girl’s best friends – i diamanti sono i migliori amici di una ragazza.
Nonostante continuino a essere le gemme più vendute e apprezzate al mondo, oggi a causa della guerra in Ucraina e delle sanzioni previste a breve sulle pietre provenienti dalla Russia – il più grande esportatore di diamanti del pianeta – i clienti, ma soprattutto i rivenditori sono alla ricerca di nuove garanzie sulla tracciabilità delle pietre.
Il Gruppo De Beers con la promozione della piattaforma Blockchain vuole andare incontro a questa esigenza. “Sapere da dove proviene un diamante sta diventando un’informazione essenziale”, ha dichiarato Al Cook amministratore delegato della società.
De Beers ha inoltre creato per i suoi consumatori Origin del DB Institute of Diamonds, una divisione aziendale che cerca di andare oltre la diffusione dei dettagli base dei prodotti come le “quattro C” – taglio, colore, purezza e peso – con l’intenzione di fare formazione agli addetti al settore.
Le pietre contrassegnate De Beers Code of Origin vengono dotate di etichette con codice QR. Quando i clienti scansionano gli appositi numeri, vengono indirizzati a un sito con contenuti multimediali che ne verifica l’autenticità e la provenienza; Botswana, Canada, Namibia e Sudafrica sono i quattro paesi in cui la compagnia possiede concessioni minerarie.
La compagnia ha inoltre fatto sapere che nel 2024 diffonderà un altro progetto chiamato Origin Story, attraverso il quale sarà possibile reperire ulteriori dettagli sui diamanti, come la rarità delle pietre; saranno fornite anche informazioni sui alcuni progetti realizzati in ambito ambientalista o umanitario, come quello per la salvaguardia degli elefanti.
Tracr, un’azienda nata nel 2018, – ma che soltanto adesso ha presentato i suoi prodotti – utilizza invece la fotografia a alta velocità per creare un gemello digitale di una gemma grezza, inserendosi fra i numerosi programmi di tracciabilità introdotti negli ultimi sei mesi, come il nuovo sistema AutoScan Plus ideato da Sarine.
L’impulso a diffondere sul mercato nuovi programmi volti a individuare il percorso delle pietre nasce dall’esigenza, sempre più impellente fra i marchi di lusso e i rivenditori di gioielli del Nord America, dell’Europa e del Giappone, di evitare le sanzioni che i paesi del G7 (Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Stati Uniti) si apprestano a imporre alla Russia. Anche l’amministrazione Biden nel 2022 aveva vietato l’importazione di diamanti grezzi dalla Federazione russa, senza però specificare cosa fare delle pietre russe tagliate e lucidate in altri luoghi.
I programmi di tracciabilità contribuiscono a “inaugurare una nuova era per la catena di approvvigionamento globale dei diamanti”, ha affermato Paul Zimnisky, analista del settore di New York. “Vedremo un livello di trasparenza che non abbiamo mai visto prima”.
“Facciamo un salto in avanti di X anni nel futuro. Quando si acquista un diamante naturale, si avranno le quattro C, ma probabilmente si avrà anche l’origine del diamante sul certificato”.
La necessità di dimostrare la provenienza delle gemme nacque già alla fine degli anni ’90, quando la crisi del settore causata dai “diamanti insanguinati” (cioé estratti da minatori schiavi e bambini e usati per finanziare guerre e insurrezioni) scosse la fiducia dei consumatori.
Nel 2019, il Gemmological Institute of America – con sede a Carlsbad in California, noto centro di ricerca e apprendimento di mineralogia americano – introdusse il Diamond Origin Report e nel 2022 il Source Verification Service. Entrambi utilizzano documenti verificati, compresi i certificati del trattato di Kimberley (accordo di certificazione volto a garantire che i profitti ricavati dal commercio di diamanti non vengano usati per finanziare guerre civili) per confermare le informazioni sul paese di origine fornite dalle società minerarie e collegare tali informazioni ai diamanti presentati al GIA per la classificazione.