Punteggio netto per una partita dominata fin dall’inizio: Novak Djokovic coi suoi 36 anni vince – per la settima volta in carriera – la finale dell’ATP Finals a Torino e batte Jannick Sinner 6-3, 6-3. “Una delle migliori stagioni della mia vita” dice il grande tennista serbo, che aveva perso con Sinner nella fase a gironi martedì 14, ma che già ieri nella semifinale con Carlos Alcaraz aveva dimostrato la sua voglia di vincere dominando la partita.
Anche il match con Sinner è cominciato – davanti al pubblico di casa – con la totale padronanza del campo del grande campione che gli ha subito strappato il servizio , mentre l’altoatesino da un lato ha pagato l’inesperienza dei suoi 22 anni, dall’altro è apparso appannato, forse impaurito, con 13 errori non forzati solo nel primo set. Nel secondo (perso di nuovo subito il suo servizio) Sinner si è risvegliato e due volte ha avuto l’occasione di ottenere o vincere una palla break per riagganciare la partita, ma non è riuscito a sfruttarla.
Il pubblico gli ha comunque tributato un’ovazione al momento della premiazione. “Che dire, Nole, con te posso parlare in italiano” ha detto Sinner, “hai iniziato la stagione vincendo e la chiudi vincendo, tre Slam e tanti tornei, sei un’ispirazione non solo per chi ti guarda ma soprattutto per i giocatori, fai vedere che la professionalità che hai e il tuo team siete pazzeschi”. E guardando al futuro, “possiamo guardare le cose positive di questa stagione. Abbiamo ancora la Coppa Davis, vediamo di far bene anche lì. Non sono così bravo a parlare, meglio che lascio il microfono a Nole…” Nole che da parte sua gli ha detto, nel suo buon italiano, “devi comunque essere orgoglioso di te, ti auguro di vincere slam ed essere numero uno del mondo”.
In gioco c’era molto. È vero che anche se avesse vinto, Sinner non avrebbe accumulato abbastanza punti nel ranking da scalare la classifica; sarebbe restato comunque sotto al russo Medvedev, terzo del mondo, che aveva sconfitto sabato pomeriggio in semifinale.
Ma la vittoria dell’Atp Finals – considerato il quinto torneo più importante del mondo tennistico dopo i quattro del Grande Slam – è un momento simbolico, e nessun tennista italiano c’è mai riuscito. Di più: la lotta, epica, era fra vecchia e nuova generazione. Djokovic – il tennista più forte della storia in base ai risultati, anche se sullo stile qualcuno potrebbe contestargli il primato – ha 36 anni e ora che Rafa Nadal e Roger Federer si sono ritirati, è l’ultimo ancora in attività dei tre che per quindici anni hanno dominato il tennis mondiale.
La nuova generazione si chiama Sinner e Alcaraz. Lo spagnolo era stato fatto fuori ieri 6-3, 6-2 in una partita micidiale, potente e precisa. Djokovic poi ha consumato la vendetta contro il 22enne impertinente che l’aveva sconfitto martedì sul filo di lana con due tie-break, 7-5, 6-7, 7-6. “A 36 anni le cose sono un più diversa da dieci anni fa” ha scherzato davanti al pubblico, “sono grato per tutto il mio team, per la famiglia e i miei bambini”, giunti da Belgrado sugli spalti a vederlo. “Jannick qui giocava in Italia con tanto sostegno ma è incredibile il supporto che la gente qui ha per il tennis, a Torino o agli Internazionali di Roma, vi ringrazio è un piacere essere qui e giocare di fronte a voi. Spero di rivedervi l’anno prossimo”. Pubblico in delirio, ovviamente.
Jannick Sinner è cresciuto molto nell’ultimo anno, atleticamente e in precisione, ma la partita di ieri contro Medvedev lo aveva già mostrato un po’ più affaticato e meno brillante che all’inizio del torneo. La competizione fa scontrare gli otto tennisti più forti del mondo, e Sinner è al numero 4. Alcaraz, ventenne prodigio, è al numero 2.
Tutti in Italia sognano che Sinner scali il ranking, sperano di avere in mano il grande protagonista del futuro, il Federer degli anni Venti, che vada oltre il quarto posto a cui già arrivò Adriano Panatta. Lui vuole tenere i piedi per terra, ripete che deve migliorare ancora. “Forse il quarto posto è il mio limite” ha detto recentemente, “forse no: lo devo scoprire”. Per ora, Djokovic non ha intenzione di cedere lo scettro.