Più di 500 degli oltre 700 dipendenti di OpenAI hanno firmato una lettera aperta per chiedere al consiglio di amministrazione della società di dimettersi dopo la cacciata dell’ex CEO Sam Altman – che nel frattempo è stato già assunto da Microsoft. In caso contrario, si legge, i firmatari migreranno in massa nella nuova unità di ricerca costruita dall’ex capo presso il colosso di Redmond.
“Compieremo questo passo immediatamente, a meno che tutti gli attuali membri del consiglio di amministrazione non si dimettano”, riferendosi ai consiglieri Ilya Sutskever, Adam D’Angelo, Helen Toner e Tasha McCauley. “Non possiamo lavorare per o con persone che non hanno competenza, capacità di giudizio e attenzione per la nostra missione e i nostri dipendenti”, si legge nella lettera, nella quale si richiedono anche la nomina di “due nuovi direttori indipendenti di primo piano, come Bret Taylor e Will Hurd” e il reintegro di Altman e dell’ex presidente Greg Brockman.
Lunedì l’amministratore delegato di Microsoft (che possiede il 49% della società di IA), Satya Nadella, aveva annunciato l’assunzione proprio di Altman e del collega Brockman – che guideranno un nuovo team di ricerca sull’intelligenza artificiale avanzata. Nadella ha inoltre confermato la nomina di Emmett Shear a nuovo CEO di OpenAI, affermando di essere “impaziente di conoscere Emmett Shear e il nuovo gruppo dirigente di OAI e di lavorare con loro”.
La bufera relativa alla governance di OpenAI è iniziata con la clamorosa cacciata di Altman da parte del CdA di OpenAI, succeduta da un tentativo in extremis della stessa società di riassumerlo nel timore di un crollo verticale.
Tutto regolare per lo statuto di OpenAI Inc. (redatto nel gennaio 2016), che conferisce a una manciata di persone senza alcuna partecipazione finanziaria nell’azienda di poter fare il bello e il cattivo tempo. Ai membri del consiglio di amministrazione è infatti concessa l’autorità di scegliere e revocare gli altri amministratori, nonché di decidere la dimensione del consiglio. A condizione che la maggioranza dei membri del consiglio dia la propria approvazione scritta, il regolamento stabilisce anche che la maggioranza del consiglio possa agire in qualsiasi veste senza convocare una riunione formale o dare un preavviso.
Circa 24 ore dopo averlo licenziato senza preavviso, il consiglio di amministrazione di OpenAI – madre di ChatGPT e GPT-2 – aveva infatti avviato una intensa trattativa con Altman affinché quest’ultimo riassumesse il suo incarico di amministratore delegato. Il perché di un così clamoroso passo indietro consisteva nel timore fondato che senza Altman OpenAI rischasse il tracollo. Dopo il licenziamento del fondatore, infatti, a dimettersi è stato anche il presidente ed ex presidente del consiglio di amministrazione di OpenAI, Greg Brockman. In quattro e quattr’otto i due hanno così avviato trattative con impiegati e investitori per lanciare una nuova attività, convincendo alcuni ricercatori di alto livello e talenti della tecnologia a sposare il nuovo progetto.
Resosi conto dell’errore, il consiglio di amministrazione avrebbe proposto di ‘redimersi’ con una dimissione in blocco e mano libera ad Altman e Brockman. Promesse che però non sarebbero state pienamente mantenute entro la deadline concordata per evitare la diaspora di lavoratori – le 17:00 (ora del Pacifico) di sabato.
Microsoft, che è il maggiore investitore della società di IA generativa (e che ha integrato ChatGPT nel suo motore di ricerca Bing), aveva inizialmente dichiarato in un comunicato di “rimanere impegnata” nella collaborazione con OpenAI. L’azienda possiede il 49% di OpenAI: un altro gruppo di investitori indipendenti ne detiene un altro 49%, mentre il 2% è di proprietà della società madre no-profit della start-up.