Migliaia di persone hanno evacuato nelle scorse ore l’ospedale al-Shifa, il più grande di Gaza, intorno al quale si sta concentrando la dura battaglia tra le truppe israeliane e i militanti di Hamas. All’interno del nosocomio resterebbero tuttavia al momento centinaia di pazienti, tra cui decine di neonati che rischiano di morire a causa della mancanza di elettricità.
A riportarlo sono i funzionari del ministero della Sanità della Striscia (facente capo alla milizia islamista), secondo cui già venti pazienti – compresi tre neonati – avrebbero perso la vita nello scorso fine settimana.
Israele sostiene che l’ospedale (e i suoi sotterranei) funga da centro di comando di Hamas, puntando il dito contro il presunto uso di scudi umani da parte dei miliziani. Domenica l’esercito di Tel Aviv aveva peraltro annunciato l’apertura di un mini-corridoio umanitario per far defluire i pazienti verso sud, nonché di aver posizionato 300 litri di carburante vicino all’ospedale per aiutare ad alimentare i generatori, ai quali però i militanti di Hamas avrebbe impedito di fare ricorso. Il Ministero della Sanità di Gaza sostiene invece che il carburante sia stato già usato e avrebbe fornito meno di un’ora di ristoro.
Dopo essersi consultato con gli operatori presenti sul posto, il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato sui social media che l’ospedale al-Shifa di fatto “non è più un ospedale” dopo essere rimasto senza acqua per tre giorni. “Tragicamente, il numero di decessi di pazienti è aumentato in modo significativo”, ha aggiunto in un post su X.

“Abbiamo perso due neonati su 39″ ha detto il direttore sanitario Abu Salmiya, secondo la rete qatariota Al Jazeera. “Sono morti per la bassa temperatura e per carenza di ossigeno. Usiamo metodi primitivi per tenerli in vita”.
Sempre Al Jazeera racconta la storia di Ismail Yassin, padre di due neonate premature, Mira e Dahab, 33 giorni di vita. Yassin è dovuto andare a sud con la moglie. “Le bambine sono rimaste in incubatrice all’ al-Shifa. Non posso descrivere quello che provo. Non posso proteggerle. Ho fatto appello alla Croce Rossa e alle organizzazioni internazionali”.
Sabato il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva dichiarato in TV che Israele sta impiegando “tutta la sua forza” nel conflitto, e aveva ribadito il suo no al crescente numero di appelli internazionali per un cessate il fuoco – a meno che questi non includessero il rilascio di tutti i 240 ostaggi che Hamas ha rapito lo scorso 7 ottobre.
Al contempo, il leader di Tel Aviv ha anche iniziato a delineare i piani post-bellici di Israele per Gaza, evidenziando una netta divergenza di vedute con i piani della Casa Bianca. Netanyahu sostiene che Israele manterrà una presenza militare a Gaza e avrà accesso illimitato al territorio per perseguire i militanti islamisti, rifiutando inoltre la prospettiva di un’amministrazione della Striscia da parte dell’Autorità Palestinese (che attualmente controlla la parte della Cisgiordania non occupata dagli insediamenti israeliani).
Secondo il Segretario di Stato USA Antony Blinken, un’unica amministrazione palestinese che sovrintenda sia a Gaza che alla Cisgiordania è il primo passo verso la creazione di uno Stato palestinese – concetto che Netanyahu e i suoi alleati ultra-conservatori al momento rifiutano con fermezza.
Gli Stati Uniti chiedono da giorni brevi pause umanitarie per consentire il trasferimento di aiuti ai civili. Tuttavia, Israele ha acconsentito solo a brevi intervalli di tempo quotidiani in cui i residenti nel nord di Gaza possono sfuggire ai raid aerei e di terra per incamminarsi verso sud lungo due autostrade.
Dall’inizio del conflitto, il bilancio stimato di vittime palestinesi è di oltre 11.000 persone, due terzi delle quali sono donne e bambini, secondo il Ministero della Sanità di Gaza.