WeWork, la startup leader del co-working e degli uffici condivisi, ha formalmente dichiarato fallimento lunedì negli Stati Uniti e in Canada nel tentativo di negoziare la riduzione del proprio ingente debito.
La mossa rappresenta un’ammissione da parte di SoftBank, colosso tecnologico giapponese che possiede circa il 60% di WeWork e ha investito miliardi di dollari nel suo risanamento, che l’azienda non può sopravvivere a meno che non rinegozi i suoi costosi contratti di locazione.
La società, danneggiata dalla crescente tendenza del lavoro da casa, ha specificato che la misura avrà un impatto sulle operazioni in Nord America, ma “si prevede che quelle globali continueranno come al solito”.
“Adesso è il momento per noi di portare avanti il futuro affrontando in modo aggressivo i nostri contratti di locazione preesistenti e migliorando notevolmente il nostro bilancio”, ha affermato in una nota l’amministratore delegato David Tolley. “Abbiamo definito una nuova categoria di lavoro e questi passi ci consentiranno di rimanere leader globali nel lavoro flessibile.”
All’inizio di agosto WeWork aveva avvertito la SEC, autorità di regolamentazione di Wall Street, della esistenza di “dubbi sostanziali sulla capacità dell’azienda di continuare ad operare”.
Fondata nel 2010 dall’imprenditore israeliano-statunitense Adam Neumann, WeWork era cresciuta fino a diventare la più importante startup statunitense, con un valore complessivo di circa 47 miliardi di dollari – attirando investimenti da parte di attori finanziari di primo piano, tra cui JPMorgan Chase.
Ad inguaiare la società è stato però un mix di perdite finanziarie, fabbisogno di liquidità e calo del numero degli inquilini dovuto alla tendenza post-Covid di lavorare da casa.