Secondo quello che il premier Netanyahu ha raccontato alla rete televisiva americana ABC, l’obiettivo primario della guerra sarebbe la “denazificazione” della striscia di Gaza sarebbe, dei massicci bombardamenti israeliani e delle operazioni di terra che andranno avanti per settimane (più probabilmente per mesi). E poi, in una frase che sicuramente non deve essere piaciuta al presidente americano Biden, ha ribadito quello che aveva già anticipato al segretario di stato Blinken. Di stato palestinese non se ne parla, di affidamento all’Autorità nazionale palestinese del territorio in riva al Mediterraneo nemmeno. Anzi, Israele è tornata a Gaza e vi resterà “per un periodo indefinito”.
Poche parole, dette in maniera chiara da un premier che nella sua vita ha studiato a fondo l’impatto di ogni frase, di ogni gesto. Ieri, con la flotta americana schierata a difesa di Israele ha sfidato, in modo chiaro, Stati Uniti e comunità internazionale. L’altro giorno, spronando i suoi militari sul fronte di Gaza, Netanyahu aveva citato Amalek e la bibbia mentre il capo rabbino militare, come abbiamo raccontato, è tornato sulla questione religiosa, in qualche modo, all’origine del conflitto. La terra che dio ha promesso agli ebrei sarà sempre di Israele, ha spiegato. Gaza, è un pezzo della Terra promessa, come anche la Cisgiordania e tutta Gerusalemme. A sorpresa ha dichiarato che il Libano lo sarà un giorno. Un’affermazione nuova, prova di come è cambiata Israele e di come anche nelle sue forze armate i gruppi messianici legati ai coloni in Cisgiordania e nella parte occupata di Gerusalemme sono sempre più presenti e forti.
Torniamo a Netanyahu. Su giornali e tv israeliani aumentano le personalità civili e di governo che chiedono le sue dimissioni. Con una guerra in corso, con oltre duecento ostaggi israeliani e non nella mani di Hamas le critiche del premier appaiono un’esercizio futile anche se, sempre più spesso, il premier sembra perdere quella linea laica, ambigua che ha caratterizzato in passato la sua attività politica. In Israele e nella diaspora ci sono molti ebrei e figli di ebrei sopravvissuti all’Olocausto che per quanto sconvolti dalla violenza criminale di Hamas rifiutano il paragone con il nazismo. Hitler e i nazisti erano ben altra cosa. Paragonarli ai terroristi di Hamas e a quello che è successo in Israele un mese fa, appare assurdo, riduttivo nei confronti dei sei milioni di ebrei vittime della Shoah.

ANSA/ ISRAEL DEFENSE FORCES
Netanyahu da sempre è alla ricerca di parole, frasi, concetti d’effetto. Parlare di nazisti, sa bene, risveglia anche la cattiva coscienza dell’Europa anche se nella grande guerra scatenata da Hitler e Mussolini il vecchio continente perse sessanta milioni dei suoi cittadini. Forse ha pensato che la memoria del nazismo, dei nazisti, poteva in qualche modo far digerire il futuro che pensa di riservare alla striscia di Gaza e alla sua popolazione. Ossia che Israele vorrebbe Gaza per sé ma senza la sua popolazione palestinese.
Alcuni suoi ministri di estrema destra hanno già approfittato dei bombardamenti di questo mese per suggerire il trasferimento – “motivi umanitari” – della popolazione di Gaza in un paese arabo – Egitto? – mentre si eliminava la dirigenza di Hamas, della Jihad islamica e, probabilmente, di quelle persone, soprattutto giovani disposti oggi e domani a combattere.
Qualche consigliere di Netanyahu ha spiegato che il premier pensa di allestire una zona cuscinetto profonda un chilometro lungo tutto il perimetro di Gaza. Con il tempo – non si sa quanto – il resto della striscia potrebbe diventare una specie di area B in Cisgiordania dove la gestione civile è palestinese, ma le truppe di Tsahal possono intervenire come vogliono. Per gli accordi, l’area B doveva essere una soluzione transitoria fino alla creazione di una realtà nuova basata sulla formula “due stati per due popoli” che appare sempre più improbabile.
Il premier non commenta le parole dei suoi ministri messianici, oltranzisti. Per loro la guerra in corso deve portare all’annessione di Gaza e anche della Cisgiordania e i confini di Israele devono essere finalmente definiti: dal Mediterraneo al fiume Giordano. E i palestinesi dovranno essere accolti altrove nel mondo. Per Gaza, l’idea-progetto va avanti. I palestinesi della striscia – dicono gli estremisti al governo – in qualche modo tutti responsabili dell’assalto del 7 ottobre – devono pagare con la perdita di almeno una parte di quello che era il loro territorio. Poche sono le famiglie palestinesi che stanno fuggendo a sud sotto le bombe pensano di poter tornare un giorno alle città, ai villaggi, ai campi profughi nel nord di Gaza. Sulle macerie – le immagini ci mostrano solo macerie – c’è chi in Israele già pensa di creare nuove, più sofisticate, basi militari. Forse un aeroporto per i cacciabombardieri più moderni che Washington si appresta a consegnare.
Il progetto per il futuro di Gaza appena abbozzato da Netanyahu è stato subito sottoscritto da un esponente di primo piano della Knesset, il parlamento di Gerusalemme, Simcha Rothman. “Solo il controllo israeliano e la completa smilitarizzazione della Striscia ripristineranno la sicurezza”, ha spiegato Rothman sul suo account Twitter. “I nostri soldati non devono versare sangue per dare la Striscia di Gaza all’Autorità palestinese”.