“La stampa internazionale a Gaza non può entrare, all’inizio del conflitto sono arrivati circa 1500 giornalisti, operatori video e TV, ma il governo israeliano li ha bloccati. Soltanto tre giorni fa è stato concesso a un ristretto numero di corrispondenti di grandi testate come Fox News e Sky News di oltrepassare il confine con le truppe”.
A raccontarlo è il giornalista Michele Giorgio che raggiunto telefonicamente a Gerusalemme, dove vive, spiega le difficoltà che incontra quotidianamente cercando di descrivere con obiettività una guerra complessa come quella che si sta combattendo in Medio Oriente.
“Le notizie che abbiamo sono quelle trasmesse dai colleghi che vivono in Palestina, loro sono le nostri fonti, solo grazie alle loro voci e ai loro occhi possiamo capire quello che sta realmente accadendo. Ovviamente la situazione è drammatica, oltre al conflitto si è aggiunta anche la crisi umanitaria” spiega il corrispondente del quotidiano “il manifesto”.

“Sono morti 36 giornalisti – prosegue Giorgio, – 31 erano palestinesi. Nonostante l’elevato numero dei decessi pare che il loro “sacrificio” sia passato inosservato, sembra non abbiano destato particolare clamore. I reporter palestinesi, almeno questa è la percezione qui, non sono considerati al pari degli occidentali. Aveva destato invece molto scalpore l’uccisione a maggio del 2022 di Shireen Abu Akleh, una giornalista di Al Jazeera, perché oltre a essere palestinese era anche cittadina americana”.
Giorgio conferma che Israele sta lentamente tornando alla normalità, seppure sia ancora molto consistente la preoccupazione per gli ostaggi rapiti da Hamas. “Lavorare è piuttosto faticoso soprattutto per la massiccia mole di informazioni che ci arriva, è un momento particolarmente denso, stiamo assistendo a qualcosa che è andato oltre la difesa di un territorio. Adesso il conflitto si è concentrato a Gaza, e in Cisgiordania quindi abbiamo possibilità di muoverci, avvertiamo però una certa pressione nel poterci esprimere liberamente”.
Pressioni da ambo le parti: raccontare “bene” per lo Stato di Israele significa sottolineare la gravità di quanto accaduto il 7 ottobre con l’assalto da parte dell’esercito di Hamas; mentre per i palestinesi significa narrare quanto succede a Gaza e riportare la storia dei Territori. “C’è parecchia diffidenza verso la stampa internazionale – conclude – in alcuni casi direi anche ostilità, spesso ci sentiamo chiedere per chi lavoriamo o da quale parte siamo schierati.”
Confida di essere molto preoccupato per due colleghi con i quali da circa una settimana non riesce a mettersi in contatto. Le comunicazioni con la Striscia, pur non essendo mai state facili – la connessione internet è ancora regolata dalle tecnologie di seconda generazione 2G – con la guerra sono peggiorate a causa dei blackout; Israele le ha interrotte più volte nell’ultimo mese, anche se in questo momento sono state ripristinate grazie all’intervento americano.
Michele Giorgio è da molti anni il corrispondente da Gerusalemme per il quotidiano “il manifesto”. Ha realizzato reportage e servizi da vari paesi del Medio Oriente e dell’Asia centrale, ha scritto inoltre alcuni libri su Israele e la questione palestinese. Dal 2021 è direttore della rivista di affari internazionali online Pagine Esteri.
Nelle immagini qui sotto, una manifestazione in Cisgiordania oggi, 7 novembre, in solidarietà ai giornalisti al lavoro nella Striscia.