Dono oltre 400 le persone che oggi hanno lasciato la Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah, unico accesso all’Egitto non controllato da Israele; sono praticamente le prime che possono lasciare la Striscia dal 7 ottobre, giorno dell’assalto di Hamas a Israele, atto scatenante del terribile conflitto e dei bombardamenti dello Stato Ebraico. Fra di loro, ha annunciato il ministro degli Esteri di Roma, Antonio Tajani, ci sono anche quattro italiani.
Si tratta di cittadini stranieri o palestinesi con passaporto straniero, fra cui persone da Australia, Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia, Indonesia, Giappone e Giordania secondo il New York Times; ci sono anche membri del personale di organizzazioni umanitarie come Medici senza Frontiere, il Comitato internazionale della Croce Rossa e l’UNWRA, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Grazie all’intesa – raggiunta dalle autorità di Egitto, Israele e Hamas, con la mediazione di Qatar e Stati Uniti – sono uscite 335 persone con passaporto straniero e 76 feriti gravi, dicono fonti palestinesi.
Finora a nessuno era stato permesso di lasciare Gaza, ad eccezione dei quattro ostaggi rilasciati da Hamas (tra cui due cittadine americane recentemente tornate a Chicago) e della soldata 19enne Ori Megidish (salvata dalle truppe dello Stato ebraico).
Sempre secondo Reuters, per l’occasione l’Egitto ha già allestito un ospedale da campo a Sheikh Zuwayed, nel Sinai, oltre a dieci ambulanze per soccorrere gli infermi in arrivo.
Il valico di Rafah resta l’unica valvola di sfogo fuori dalla Striscia. Quattrocento persone sono una goccia nel mare. L’Egitto fa però resistenza temendo un esodo di palestinesi che potrebbero non tornare più nella Striscia distrutta dai bombardamenti israeliani; e se si tratta di far entrare materiale umanitario, l’Egitto richiede anche l’accordo di Israele, che per esempio rifiuta di autorizzare l’ingresso di carburante perché utilizzato a scopi bellici dalle milizie di Hamas.

La trafila del passaggio prevede il superamento dei cancelli sul lato di Gaza del valico; in genere si incontra poi un’altra barriera palestinese dove le credenziali vengono ulteriormente controllate; poi si sale su un autobus che percorre le poche centinaia di metri fino alla frontiera egiziana.
Dala notte scorsa gran parte di Gaza è di nuovo senza rete telefonica e internet a causa dei violenti bombardamenti israeliani che hanno distrutto alcuni complessi residenziali vicino a Gaza City. A riportarlo è il provider di telecomunicazioni palestinese Paltel, che ha riferito di una “completa interruzione” dei servizi – la seconda volta in meno di cinque giorni che l’enclave è sostanzialmente tagliata fuori dal mondo esterno.

Un blackout che mette a serio repentaglio l’attività delle ONG umanitarie, impegnate a fornire assistenza ai circa 2,3 milioni di palestinesi (circa la metà dei quali sfollati) che da oltre 3 settimane sono a corto di rifornimenti di base a causa del blocco israeliano. “Anche l’atto potenzialmente salvavita di chiamare un’ambulanza diventa impossibile”, ha dichiarato Jessica Moussan, portavoce del Comitato Internazionale della Croce Rossa.
Martedì intanto una raffica di attacchi aerei israeliani ha distrutto una serie di complessi residenziali a Jabalia, campo profughi vicino a Gaza City. Il dottor Atef Al-Kahlot, direttore di un ospedale vicino dove sono state trasportate molte delle vittime, ha dichiarato che centinaia di persone sono state uccise o ferite – anche se non è ancora disponibile una stima ufficiale.

L’esercito israeliano ha confermato l’attacco e sostenuto di aver colpito la sede del comando locale di Hamas, uccidendo il capo del Battaglione Jabaliya Ibrahim Biari, uno dei responsabili dell’attacco ai kibbutzim del 7 ottobre.
Negli ultimi giorni le forze israeliane si stanno muovendo in direzione est e nord, proprio vicino al perimetro della capitale. Gaza City, che prima della guerra aveva una popolazione di circa 650.000 abitanti, è infatti il fulcro dell’infrastruttura militare di Hamas, che comprende centinaia di chilometri di tunnel sotterranei. Secondo gli esperti, la prossima fase della guerra sarà probabilmente la più drammatica, dal momento che le truppe di Tsahal si stanno avvicinando ai quartieri a più alta densità abitativa – il che potrebbe far impennare il bilancio di vittime civili.
Il Ministero della Sanità di Gaza (che fa capo ad Hamas) ha riferito mercoledì che le vittime palestinesi del conflitto sarebbero già più di 8.700, e che la maggior parte di questi sarebbero donne e bambini. Da parte israeliana, invece, i morti ammontano a circa 1.400, gran parte dei quali civili assassinati lo scorso 7 ottobre dai miliziani di Hamas, che hanno contestualmente rapito circa 240 persone.
Il gruppo islamista martedì si è peraltro impegnato a rilasciare alcuni dei civili tenuti prigionieri. “Rilasceremo un certo numero di stranieri nei prossimi giorni”, ha dichiarato martedì Abu Obeida, portavoce delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam, ala militare di Hamas, in un discorso televisivo.