E dopo? Cosa succederà dopo questo nuovo terribile conflitto mediorientale e che futuro si può pensare per la Striscia di Gaza?
Gerusalemme è il cuore della terra biblica e del Corano: due religioni simili che hanno in comune molte cose compresi, secondo alcune letture, i concetti di perdono e di vendetta. Gerusalemme è anche la città che Israele considera sua capitale e che è rivendicata come tale da un altro popolo, quello arabo palestinese. Due popoli per la stessa terra, dunque. La più lunga guerra della nostra storia sembrava avviata verso una soluzione quando, trenta anni fa, i leader israeliani e palestinesi accettarono, con la firma di un accordo sul prato della Casa Bianca a Washington, di condividere quella terra e anche in qualche modo Gerusalemme. Oggi, una soluzione del conflitto appare ancora più distante di prima.
Il quotidiano Haaretz di Tel Aviv scrive: “Il lutto e il dolore di Israele sono terribili e genuini, e a suo avviso il numero di vittime e il modo orribile in cui sono state uccise è incomprensibile. Allo stesso tempo, i residenti di Gaza non possono vedere altro che distruzione e inferno. Con il sostegno americano ed europeo, Israele sta schiacciando la Striscia”.
L’Antico testamento viene spesso citato dai dirigenti israeliani ebrei, e parafrasato dagli arabi musulmani e cristiani. Ma parole e concetti che risalgono al libro dell’Esodo come “Occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede” si riferivano, nell’antichità, a casi di singole persone, non a vendette tra popoli.
Nell’ultima settimana, il premier israeliano Netanyahu ha ribadito la volontà politica sua e del suo governo (una coalizione di unità nazionale nata per rispondere all’attacco degli integralisti) di distruggere Hamas, di eliminare fisicamente i leader e i militanti del movimento fondamentalista islamico rei del feroce massacro di una settimana fa. Colpevoli non solo di aver ucciso in maniera brutale un numero incredibile di civili e militari ma anche di aver distrutto la fiducia di una popolazione, gli ebrei d’Israele e quelli della diaspora, nei capi e nelle forze armate dello stato nato meno di ottanta anni fa.
Israele vanta l’esercito più potente dell’intera regione (l’unico che dispone di ordigni nucleari) ma i suoi errori di valutazione, la sua hutzpah – parola yiddish che significa tra l’altro, notevole audacia e disprezzo dell’altro – e quella di molti dei suoi leader hanno gettato il paese in una situazione a dir poco difficile, se non impossibile gestire.
Abbiamo sentito molti leader, compresi quelli americani, da sempre sostenitori di Israele, spiegare a Netanyahu e al resto del mondo che Hamas non è il popolo palestinese. Che le atrocità commesse dal movimento integralista non devono essere attribuite a tutti i palestinesi di Gaza né a quelli che abitano nella Cisgiordania occupata e colonizzata, negli anni, da tutti i governi israeliani senza eccezione, e ancora di più da quello attuale, formato da esponenti degli insediamenti ancora più radicali.

Sono proprio questi a indicare alla popolazione delle colonie ebraiche della Cisgiordania, e non soltanto, la via inutile della vendetta. L’altro giorno hanno sparato in faccia, a bruciapelo, a un gruppo di lavoratori palestinesi uccidendone alcuni.
Haaretz, citiamo ancora il quotidiano israeliano, ricorda come “Nel 1982, Israele lanciò una campagna di vendetta contro l’OLP; pianificò di assassinare Yasser Arafat (il leader dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, ndr) di incoronare Bashir Gemayel come presidente del Libano e di firmare un trattato di pace con il suo vicino settentrionale. Il castello di carte che Israele costruì crollò presto e al posto di un trattato di pace nacque Hezbollah. E ancora: “Gli Stati Uniti volevano vendetta contro Saddam Hussein e hanno ottenuto il caos in Iraq e l’ascesa dell’ISIS. Non c’è bisogno di dire molto su quello che è successo in Afghanistan e sul ritorno dei talebani”.
Allora, si chiede Haaretz? “Possiamo colpire Hamas senza sosta e persino bruciare la maggior parte di Gaza, ma questo non la farà scomparire. A differenza di Baghdad e Kabul, che si trovano a migliaia di miglia da New York, Gaza è proprio dietro l’angolo, a breve distanza da Sderot e dalle altre comunità israeliane lungo il confine con la Striscia. Una volta che il desiderio di vendetta si sarà allentato, qualcuno dovrà chiedere: Cosa diavolo si farà con Gaza?”
O meglio, così si farà con il popolo palestinese e non solo con Gaza? Cosa si farà con i milioni di palestinesi della Cisgiordania? Il dopo è già oggi. E l’unica soluzione forse praticabile sarebbe stata già bocciata dai leader israeliani. Fermare la vendetta, fermare l’esodo forzato dei palestinesi dalla loro terra-ghetto di Gaza e creare subito lo Stato palestinese con confini sicuri per tutti i vicini, gestiti da una forza di pace internazionale. Per molti, da un lato e dall’altro del Medio Oriente, sull’orlo di una guerra regionale e non solo, sarebbe già troppo tardi.