In Libano, ad Al-Khiyam, si sono svolti i funerali di Issam Abdallah, 37 anni, giornalista dell’agenzia Reuters ucciso venerdì 13 ottobre nel sud del Libano, al confine con Israele, quando colpi di mortaio lanciati dalla direzione di Israele hanno colpito un gruppo di giornalisti; altri sei sono rimasti feriti, due dell’agenzia France Presse, due della Reuters e due della tv qatariota Al-Jazeera.
Il ministero degli Esteri libanese ha dichiarato che presenterà una denuncia formale al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per quella che ha definito “l’uccisione deliberata da parte di Israele” di Issam Abdullah.
Il bilancio dei giornalisti uccisi in una settimana di conflitto fra Israele e Hamas è pesante: sono almeno 11 secondo il New York Times, che cita il Committee to Protect Journalists (qui si trova l’intero elenco), di cui nove palestinesi, un israeliano e un libanese. Almeno un giornalista israeliano risulta disperso, molti altri sono stati feriti. Il Comitato sta indagando altre notizie su reporter uccisi, feriti o dispersi a Gaza o nelle vicinanze.
I reporter all’interno della Striscia sono i più colpiti, dice Sherif Mansour, coordinatore del Comitato per il Medio Oriente: “Sono i più vulnerabili ma anche i più necessari, sono i nostri occhi su quello che accade”: sono gli autori delle foto da Gaza che invadono i giornali di tutto il mondo, ma lavorano mentre ricevono l’ordine di evacuazione dal nord della Striscia o mentre cercano di proteggere le loro famiglie; molti scrivendo o trasmettendo dall’interno di un ospedale perché è l’unico posto dove hanno elettricità e servizio internet.