Appena una settimana fa, alti funzionari dei servizi segreti israeliani apparivano tranquilli. Hamas – sostenevano pubblicamente e nelle riunioni di governo – al momento non era pronto a un nuovo conflitto armato con Israele. Il movimento integralista che controlla la striscia di Gaza non voleva, dicevano, mettere a repentaglio i risultati delle passate azioni che hanno migliorato la vita dei residenti di Gaza.
L’attacco massiccio contro Israele è stato innanzitutto uno smacco per Mossad e Shin Bet, rappresentati al grande pubblico nella serie televisiva Fauda che mostrava le operazioni degli agenti segreti di Tel Aviv nei territori palestinesi occupati, anche a Gaza ma soprattutto a Gerusalemme e in Cisgiordania. Probabilmente, in queste ore, gli analisti dei “servizi” stanno cercando di capire se la guerra – perché di guerra si tratta – da Gaza si estenderà per coinvolgere quel territorio che da Gerusalemme arriva fino al fiume Giordano.
Proprio in questi giorni, in Israele, si ricordava con cerimonie e festeggiamenti la vittoria dopo la guerra-sorpresa del 1973. Allora, proprio durante il kippur, la più importante festa ebraica, il paese riuscì a bloccare l’avanzata eserciti arabi e, con il tempo, ottenere la pace con l’Egitto, prima e poi con la Giordania.
Cosa succederà ora è un grande punto interrogativo. Sono morte decine di persone, da una parte e dall’altra; sono stati presi prigionieri molti israeliani e questo soltanto crea un problema enorme per il governo Netanyahu. I suoi bombardieri e caccia stanno colpendo la striscia di Gaza a ripetizione, altre forze armate cercano di eliminare i combattenti palestinesi che controllano almeno quattro villaggi israeliani nella zona meridionale del paese al confine con Gaza. La reazione-risposta israeliana andrà oltre? Molto dipende dal comportamento dei gruppi armati in Cisgiordania e a Gerusalemme.

Finora sono stati segnalati incidenti minori e scontri-manifestazioni in alcuni quartieri arabi della città santa. La presenza di militanti di Hamas e della Jihad Islamic è notevole, ma finora la polizia palestinese, seguendo le direttive del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas, è riuscita a mantenere una relativa calma anche se l’ultimo anno ha visto notevolmente aumentare la violenza. Nella sua recente relazione al Consiglio di sicurezza dell’Onu, l’inviato dell’Onu per il Medio Oriente, Tor Wennesland, ha definito la situazione preoccupante.
“Palestinesi e israeliani vengono uccisi e feriti in violenze quasi quotidiane, come anche poche ore prima di questo briefing, quando un altro attacco mortale ha ucciso un israeliano in Cisgiordania. Questa violenza è alimentata ed esacerbata da un crescente senso di disperazione per il futuro. Mentre le parti hanno intrapreso alcune azioni per stabilizzare la situazione sul terreno, i passi unilaterali, tra cui la crescita e la demolizione degli insediamenti, continuano, così come le operazioni israeliane nell’Area A, l’attività militante palestinese e la violenza dei coloni. La mancanza di progressi verso un’orizzonte politico che affronti le questioni fondamentali ha lasciato un vuoto pericoloso e volatile, riempito dagli estremisti di entrambe le parti. Siamo molto lontani dai sentimenti prevalenti quando l’Accordo di Oslo fu firmato 30 anni fa, il 19 agosto”.
Aggiungo una considerazione fondamentale: Una nuova generazione di palestinesi è nata e cresciuta in questi anni. Non ha conosciuto altro che l’occupazione israeliana. Agiranno, questi giovani, seguendo Hamas?

È presto e molto difficile capire quale sarà il comportamento del governo israeliano di fronte a questa, direi, storica offensiva palestinese. Non mancano alle forze armate di Tel Aviv strumenti e armi. E i leader politici hanno sempre mostrato di agire in maniera spregiudicata. Netanyahu e altri elementi del governo attuale e anche di quello passato dicono di considerare gli ayatollah di Tehran responsabili dell’attività dei “terroristi” di Gaza. E di fronte a questa azione, molti analisti ipotizzano un attacco contro l’Iran. Non solo per mandare un messaggio al nemico maggiore di Israele ma anche per colpire le installazioni che potrebbero consentire all’Iran di arricchire uranio e sviluppare ordigni nucleari e bloccare l’accordo che quel paese sta negoziando con gli Stati Uniti.
C’è anche un’altra ipotesi che circola negli ambienti governativi e militari israeliani ma che è strettamente legata al comportamento dei palestinesi della Cisgiordania. È una vecchia idea-progetto da tirare fuori se e quando le condizioni potrebbero essere “favorevoli”. Attacchi militari massicci su Israele e sugli insediamenti israeliani nei territori occupati sarebbero la giustificazione per una massiccia operazione militare in Cisgiordania con l’obiettivo finale di spingere la maggioranza dei suoi residenti arabi dall’altra sponda del fiume Giordano, in Giordania, e mettere fine alla “questione palestinese”. I confini di Israele diventerebbero quelli che erano scritti sulla piattaforma politica del Likud, il partito dove Netanyahu è cresciuto.
Il nostro mondo accetterebbe un’azione del genere? Probabilmente sì, a giudicare da quello che è accaduto in Europa pochi giorni fa e di cui si è parlato poco se non per dire che la “diplomazia è fallita”. Quasi tutta la popolazione di etnia armena dell’enclave del Nagorno-Karabakh in Azerbaigian, una comunità in gran parte cristiana in una nazione a maggioranza musulmana, è fuggita in Armenia per non rischiare di essere massacrati dall’esercito dell’Azerbaigian, paese, peraltro, grande amico di Israele e nemico dell’Iran.