Un importante studio internazionale, coordinato in sinergia dall’Università degli Studi di Milano, dall’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa, con il Museo delle Scienze di Trento e la University of Texas-Austin, ha rivelato dati molto importanti e utili al monitoraggio delle aree di montagna maggiormente colpite dagli effetti del riscaldamento globale. Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communication, le zone che più ne soffrono corrispondono ai ghiacciai più vasti e importanti per l’equilibrio del nostro ecosistema.
Collocando in diverse aree del pianeta una grande catena di sensori sensibili alle escursioni termiche che possono verificarsi anche a poche decine di metri di distanza, i ricercatori hanno prodotto la carta più ampia e dettagliata mai esistita finora delle temperature in alta montagna che va dalle Alpi alle Ande peruviane fino alle isole Svalbard in prossimità del Polo Nord. Nell’ultimo ventennio le zone prossime ai ghiacciai si sono scaldate circa il doppio di quelle situate a soli 3 km di distanza e la situazione è ancora più critica nelle aree tropicali e sub-tropicali.
I dati rilevati dimostrano che c’è sempre meno neve e che si scioglie molto velocemente rispetto al normale ciclo stagionale, avendo ripercussioni sul clima a livello mondiale perché si accelera il processo di surriscaldamento dell’intero globo. La copertura nevosa ha un ruolo chiave nel funzionamento degli ambienti montani perché influenza i processi biogeochimici e idrologici e controlla il ciclo di vita di molti organismi determinando la durata della loro stagione di crescita, con potenziali impatti sulla produttività dell’ecosistema.
Avere informazioni dettagliate sul microclima e sulla copertura nevosa è quindi fondamentale per comprendere gli impatti dei cambiamenti climatici sugli organismi che vivono negli ecosistemi di montagna e il potenziale effetto tampone favorito dall’eterogeneità microclimatica. E finora mancavano analisi su scala globale e ad alta risoluzione. È proprio nell’ottica di questa emergenza climatica che secondo i ricercatori questi dati “saranno utilissimi per predire come gli ecosistemi di alta montagna si modificheranno nei prossimi decenni”.