“Un talentuoso uomo d’affari”. Vladimir Putin definisce così Evgenij Prigozhin, il capo della compagnia di mercenari Wagner presumibilmente morto mercoledì a bordo del suo jet privato assieme a tre collaboratori.
In un discorso televisivo tenuto quasi esattamente 24 ore dopo l’accaduto, il presidente russo ha rotto il silenzio esprimendo le sue “condoglianze” alle famiglie delle vittime. Su tutte quella di Prigozhin – soprannominato dai detrattori “cuoco di Putin” per via dell’amicizia che lo legava al capo del Cremlino fin dagli anni ’90. Una simpatia che si è tuttavia trasformata in aperta ostilità lo scorso 24 giugno, quando l’ammutinamento della Wagner ha esposto il potere putiniano alla peggiore minaccia esistenziale di sempre.
Nel descrivere il vecchio sodale, Putin lo ha dipinto come “una persona dal destino complicato, che ha commesso gravi errori nella vita, ma che ha anche cercato di raggiungere i risultati necessari – sia per se stesso sia per la causa comune, quando gliel’ho chiesto”.
Eppure solo due mesi fa il Cremlino bollava il golpista alla stregua di “un traditore che colpisce alle spalle”. Ma si sa, dei morti – o forse degli assassinati – niente si dica se non il bene.

A bordo del jet Embraer Legacy 600 partito mercoledì da Mosca per San Pietroburgo, e precipitato nei pressi del villaggio di Kuzhenkino, nella regione di Tver’ (circa 350 km a nord-ovest della capitale), non c’era però solo Prigozhin. Con lui anche l’effettivo fondatore della Wagner, Dmitrij Utkin, oltre a Valerij Chekalov – vice di Prigozhin – e Nikolaj Matusevich – che in passato ha combattuto da mercenario in Siria -, in aggiunta a tre membri dell’equipaggio, due piloti e un’assistente di volo.
Tutti e dieci i cadaveri sarebbero stati ritrovati dai soccorritori in un vasto fazzoletto di campagna e sono in corso di identificazione. Alcuni video circolati sui social media mostrano l’aereo in caduta libera precipitare verso il suolo con una scia di fumo bianco alle spalle.
Secondo le prime conclusioni dell’intelligence statunitense riportate dal Wall Street Journal, è più che verosimile che Prigozhin e i suoi commilitoni siano morti a causa di un’esplosione avvenuta in volo. Ossia ben prima dello schianto.
Nessuna conferma per ora dalle autorità di Mosca, che pure hanno fulmineamente confermato la presenza a bordo di Prigozhin. Lo stesso Putin non è parso avanzare ipotesi, limitandosi piuttosto a dichiarare che verrà condotta un’inchiesta approfondita.
❗️Aircraft belonging to #Wagner PMC head #Prigozhin crashed in Russia.
All passengers on the aircraft were killed. Wagner founder Prigozhin allegedly was among the passengers of the plane, Russian media reported. pic.twitter.com/i5j29Db2Lh
— KyivPost (@KyivPost) August 23, 2023
Qualche che sia l’esecuzione, paiono esserci davvero pochi dubbi su chi possano essere i mandanti. Di un diretto coinvolgimento del Cremlino è convinto anche il presidente statunitense Joe Biden, che in un commento a caldo dal Nevada ha dichiarato: “Non so per certo cosa sia successo, ma non sono sorpreso. Non c’è molto che accada in Russia senza che Putin ci sia dietro”.
Dal canto suo, il leader ucraino Volodymyr Zelensky ci ha tenuto a chiarire che Kyiv non ha nulla a che fare con l’incidente: “Lo sanno tutti chi è stato”.
L’impressione di molti addetti ai lavori era che Prigozhin avesse da tempo i giorni contati. Eppure nelle scorse settimane l’imprenditore pietroburghese aveva sorpreso tutti per la relativa libertà di movimento tra Mosca, San Pietroburgo, Bielorussia e Africa (dove i suoi mercenari hanno continuato a operare nonostante la rivolta). Il trattamento di favore apparentemente riservato a Prigozhin aveva fatto ipotizzare che il capo dei mercenari fosse too big to die – e che insomma il Cremlino avesse ancora bisogno di lui nonostante l’affronto armato.
Col senno di poi, il Cremlino potrebbe aver voluto aspettare una data simbolica (esattamente due mesi dal golpe, un anno e mezzo di guerra, alla vigilia della Giornata dell’indipendenza ucraina) per un’esecuzione in grande stile. E che soprattutto non lasciasse alcun margine di dubbio su quale sia il trattamento riservato ai sediziosi.

Ma nella “notte dei lunghi coltelli” in salsa russa consumatasi mercoledì – simbolicamente a due mesi esatti dal tentato golpe – a finire sotto la scure (stavolta solo metaforica) del Cremlino è stato anche il generale Sergej Surovikin, formalmente rimosso dal suo incarico di capo delle forze aeree di Mosca.
Surovikin, assente dalla scena pubblica russa da almeno 2 mesi e presunto complice proprio di Prigozhin, aveva guidato le operazioni contro l’Ucraina dall’ottobre 2022 fino allo scorso gennaio (venendo per ciò insignito da Putin della massima onorificenza militare russa: la Croce di San Giorgio). Lui e Prigozhin avevano già collaborato anni fa nella guerra civile siriana per sostenere il presidente filo-russo Bashar al-Assad – conflitto nel quale Surovikin si era guadagnato l’appellativo di “generale Armageddon” per la brutalità delle sue tattiche belliche contro i ribelli.
Nelle settimane precedenti il clamoroso ammutinamento di fine giugno, il capo della Wagner aveva più volte elogiato l’amico-generale in vari messaggi su Telegram, esecrando al contempo la leadership militare della nazione – e in particolare il ministro della Difesa Sergej Shoigu e il capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov (nel frattempo subentrato proprio a Surovikin in qualità di comandante delle operazioni militari contro Kyiv).
L’intelligence statunitense sostiene che il piano di Prigozhin fosse proprio quello di sequestrare i due capi militari di Mosca e fare in modo che ad assumere il comando delle forze armate fosse Surovikin, il quale sarebbe stato coerentemente informato della futura “marcia su Mosca” giorni prima che accadesse.
Il generale era tuttavia apparso rinnegare qualsiasi collaborazione con Prigozhin nelle ore in cui l’ammutinamento prendeva forma, pubblicando persino un video in cui criticava pubblicamente l’insurrezione del “cuoco di Putin” e lo esortava a fermarsi. Troppo poco per dissipare i sospetti del Cremlino, che nel day-after del fallito golpe lo avrebbe costretto agli arresti domiciliari – provocandone l’assenza dalle scene pubbliche da più di due mesi.
A qualcun altro, comunque, è andata decisamente peggio.