I messaggi sui social hanno cominciato a girare la sera del 7 agosto: “ma l’avete sentito il terremoto a Roma”? Post soprattutto dal centro e dal sud della capitale. L’Istituto di Geofisica e Vulcanologia però non riportava nulla di significativo: e infatti il sisma di Roma non veniva dalle viscere della Terra ma dal Circo Massimo, dove il concerto del rapper Travis Scott, un po’ per le vibrazioni dell’amplificazione, un po’ per i salti e i balli del pubblico, ha fatto fremere anche il suolo.
Un concerto annunciato a sorpresa solo la settimana prima dal rapper texano 32enne – uno dei più ascoltati al mondo – con un post su Instagram, tappa aggiunta all’ultimo dopo quella milanese, e accolta con gioia dall’amministrazione capitolina: “è l’ennesima conferma di quanto Roma sia sempre più attrattiva per le star internazionali” esultava Alessandro Onorato, assessore ai Grandi Eventi, Turismo, Sport e Moda di Roma Capitale. L’entusiasmo dei cinquantamila fan poi ha raggiunto il delirio quando sul palco è salito – sorpresa nella sorpresa – anche il celeberrimo collega Kanye West cantando “Can’t tell me nothing”.
Peccato che a qualche giorno di distanza intorno al mancato sisma sia scoppiata una bella polemica d’agosto. Il Circo Massimo è una location molto atmosferica; un catino d’erba che nasconde – sotto la terra – i resti dell’antico circuito romano, a pochi passi dal Tevere, fra l’elegante colle Aventino e la meraviglia mozzafiato del Colle Palatino dove si ergono – visibilissimi, spettacolari, una skyline commovente soprattutto nella luce rosea del tramonto – i ruderi delle case degli imperatori; del resto, pochi passi più in là dietro il colle ci sono il Colosseo, l’arco di Costantino, l’arco di Tito, i Fori Romani. Quasi tutta la Roma antichissima.
A protestare è scesa in campo la direttrice del Parco Archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo: “Personalmente ritengo che il Circo Massimo sia un monumento e come tale va rispettato e deve ospitare solo ed esclusivamente concerti di un certo tipo, come l’opera o il balletto. Spettacoli musicali ma non concerti rock che secondo me vanno trasferiti negli spazi previsti, cioè negli stadi”. Il rock e il pop ad alti decibel sarebbero troppo pericolosi, anche per il vicinissimo Palatino.
Ma l’amministrazione di Roma non è d’accordo: “per fortuna non decide lei cosa si fa al Circo Massimo” ha detto senza mezzi termini l’assessore Onorato secondo cui sono “polemiche sterili” e il problema è solo che i salti di gioia dei fan “potrebbero aver infastidito alcuni vip annoiati in terrazza mentre mangiavano il gelato”.
In verità le polemiche sull’opportunità di tenere concerti nelle preziose località italiane sono frequenti (per esempio la laguna di Venezia), ma la Roma moderna di location open air adeguate ai concerti pop ne ha poche, anzi non le ha.
C’è lo Stadio Olimpico, capacità 60mila, impianto delle partite di calcio delle squadre Roma e Lazio, che risale alle Olimpiadi del 1960 nonostante le ristrutturazioni (e l’acustica lascia a desiderare). C’è la Cavea dell’Auditorium, dove quest’anno per esempio hanno cantato – fra tanti altri – anche Sting e Paolo Conte; ma c’entrano tremila persone (nelle sale al coperto al massimo 2500, e poi sono riservate per lo più alla musica classica). Questa estate a Roma di star ne sono arrivate tante, italiane e internazionali: all’Olimpico un concerto dei Depeche Mode, e fra gli italiani Blanco, Ligabue, i Maneskin, Vasco Rossi, Tiziano Ferro. Al Circo Massimo Bruce Springsteen, i Gun ‘n Roses, Marco Mengoni. Altri si sono esibiti alle Terme di Caracalla, grandioso complesso di rovine vicino a via Appia dove si tiene anche la stagione estiva dell’Opera di Roma: sono arrivati fra gli altri Zucchero e il duo Venditti-De Gregori.
A prescindere dall’atmosfera – sicuramente più fascinosa fra i ruderi che allo Stadio Olimpico – il Circo Massimo è un catino polveroso senza sedili, adatto solo a un pubblico di giovani entusiasti e vigorosi che reggono molte ore in piedi sotto il sole nell’attesa del concerto (chi scrive ci ha visto il penultimo concerto di Bruce Springsteen e l’anno scorso i Maneskin), ma è molto comodo, come Caracalla, per far affluire e defluire il pubblico. Almeno dal punto di vista dell’ordine pubblico; per il traffico della capitale significa bloccare il centro.
Se ne discute da giorni: da un lato chi ritiene che le antiche mura imperiali vadano preservate, e che vibrazioni, folle oceaniche e fan in delirio siano un pericolo effettivo. Dall’altro, chi accusa i “boomer” di voler togliere ai giovani anche gli unici spazi di divertimento che restano. In effetti, sono lontani i tempi dell’”Estate Romana”, la manifestazione pensata negli anni Ottanta dall’allora assessore alla cultura Renato Nicolini, che si era inventato una serie di rassegne ed eventi – anche nei luoghi storici – che animavano piazze e strade nelle lunghe serate estive, coi finanziamenti del Comune.
Adesso a Roma d’estate si va a cena, oppure al cinema (dove poco c’è da vedere tranne “Barbie”) oppure, chi se lo può permettere, compra i (cari) biglietti dei grandi concerti (100 euro minimo per Springsteen, più economico Travis Scott con posto unico a 48 euro). Molto altro non c’è; organizzare eventi costa troppo. Almeno, Roma offre una cornice degna di nota. La polemica – come tante altre dell’estate – si spegnerà in sordina.