Monica Lewinsky ha appena compiuto 50 anni: “helluva ride so far!”, ha scritto su Instagram a commento di una serie di foto di se stessa bambina e adolescente. “Buoni 50 anni a me! Non posso credere che questa piccoletta sia arrivata al miglior decennio appena passato. Grata per l’amore e l’incoraggiamento ricevuti negli ultimi dieci anni”. Anni di rivalsa per la ex stagista della Casa Bianca – la donna che ha pagato carissima la relazione con l’allora presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton.
Lei aveva 22 anni, lui 49; lei una ragazzina con un contratto a termine, lui l’uomo più potente del mondo. Nel novembre 1995 avvenne il primo di nove incontri sessuali fra i due; come rivelò poi un’indagine ufficiale, i contatti inclusero rapporti orali, ma non penetrazioni. La storia, se così la si può chiamare, proseguì per un anno e mezzo. Era molto rischioso: gli incontri si svolgevano nella residenza presidenziale – anche nel celebre Studio Ovale – e Clinton era già accusato di molestie sessuali nei confronti di una collaboratrice e giornalista, Paula Jones, quando era governatore dell’Arkansas.
Erano comunque due adulti, consenzienti – almeno sulla carta. La vicenda Lewinsky-Clinton diventò nota al pubblico nel corso delle indagini sul caso Jones, condotte dal procuratore Ken Starr, che voleva arrivare all’impeachment per Clinton (la questione divenne, è chiaro, eminentemente politica). Clinton era accusato di spergiuro e ostruzione alla giustizia. Mentì: chi seguiva la cronaca in quegli anni ricorderà il presidente in televisione, il dito puntato e il viso serio, scandire: “I did not have sexual relations with that woman, Miss Lewinsky”.
Il presidente fu assolto dalla Camera dei rappresentanti nel 1999. E la signorina Lewinsky? Erano emerse sia una telefonata in cui parlava delle fellatio praticate al presidente, sia una gonna macchiata di sperma, che aveva conservato su consiglio di un’amica. La giovane stagista però non aveva ricattato il presidente, non lo aveva denunciato, non aveva istigato nessuna indagine; era stata indubbiamente travolta da un evento che ingenuamente non si aspettava. Eppure, alla lunga, a pagarne lo scotto peggiore fu lei.
E che scotto. Lo stesso Clinton lo riconobbe in una lunga intervista alla PBS nel 2018: “Il prezzo che ho pagato io è stato soprattutto il dolore inflitto a mia moglie e a mia figlia” diceva rispondendo a Judy Woodruff. E lei? “Lei ha pagato un prezzo altissimo. Mi preoccupavo molto per lei, sono stato felice di vedere che è tornata all’università, ha costruito una carriera, ha avuto uno show in tv e un Ted Talk di grande importanza”.
Il Ted Talk di cui Clinton parlava risale al 2015 ed ha avuto immensa risonanza; 21 minuti in cui Lewinsky racconta, con umorismo e determinazione, come, quando e perché dopo un decennio di silenzio ha cominciato a parlare della sua esperienza. Si intitola “Il prezzo della vergogna”, The Price of Shame. “A 22 anni mi sono innamorata del mio capo, e a 24 anni ne ho capito le conseguenze devastanti”, dice al pubblico. “Nel 1998, dopo essere stata travolta da una storia improbabile, sono finita al centro di un ciclone politico e mediatico senza precedenti”. Lo scandalo, spiega, fu amplificato dalla rivoluzione digitale, la sua fu la prima storia che fece il giro del mondo online; in una notte da persona sconosciuta divenne uno zimbello internazionale. Su di lei sono nate canzoni rap, sono stati scritti innumerevoli articoli, è stata segnata a dito come una profittatrice, una persona dalla vita oscura, un oggetto di ludibrio (incluse infinite considerazioni sul suo fisico).
La storia di Lewinsky (e la storia del tentato impeachment di Clinton, in tutti i suoi risvolti politico-giudiziari) è stata raccontata da podcast, documentari e anche docufiction. A distanza di quasi trent’anni, però, possiamo guardarla con la distanza prospettica che ci dà non solo il tempo trascorso, ma l’emersione nel frattempo del movimento #metoo, scoppiato nel 2017 (due anni dopo il Ted Talk di Lewinsky).
Perché nel 1998, quel fenomeno che chiamiamo “slut shaming” in inglese, lo “stigma della puttana”, era ancora la norma (e non ci siamo ancora allontanati di molto). Una ragazzina che si presta a rapporti con il Presidente nella migliore delle ipotesi è una di facili costumi; nella peggiore, una potenziale ricattatrice. Così lui diventa un uomo in preda a una crisi di mezza età, magari un traditore seriale, uno a cui le donne piacciono troppo… ma quanto a onorabilità personale, era semmai coinvolta quella della moglie Hillary (molto inchiostro si è sparso sul tema “dovrebbe lasciarlo o no? Perché non lo lascia dopo essere stata umiliata pubblicamente? Sicuramente per convenienza, anche e forse soprattutto politica”). Agli occhi del mondo, se qualcuno è caduto in trappola, non è Monica Lewinsky ma Bill Clinton. E se qualcuno è stato messo alla berlina dagli eventi non è tanto il presidente che non riusciva a contenere le sue pulsioni, ma la moglie – sulla cui successiva carriera politica l’ombra del marito ha pesato nel bene e nel male, nei successi e nelle, molte e cocenti, sconfitte.
Poi è arrivato il #metoo, che ha portato a un cambio – limitato ancora – di paradigma. Il movimento scoppiò attorno al produttore Harvey Weinstein e alle decine di testimonianze di donne costrette a rapporti sessuali di vario tipo per lavorare nel cinema (condannato dai tribunali prima a 23, poi ad altri 16 anni di carcere), ma si è allargato a macchia d’olio, e molti ne condannano i presunti eccessi (proprio oggi l’attore e produttore Kevin Spacey è stato assolto a Londra dalle accuse di molestie che gli hanno devastato la carriera).
Ma il #metoo ha portato in molti ambienti a una consapevolezza diversa del concetto di “violenza” (sì, anche la mano morta sull’autobus non è uno scherzo, o una cosa da poco; è violenza, e il corpo di donne e bambini non è a libera disposizione), ma anche di “consenso”, e di come si possa dire di sì a un rapporto per motivi molto diversi dal desiderio. Monica Lewinsky dice: a 22 anni mi sono innamorata del mio capo. Ma quel capo, più vecchio di quasi trent’anni, sposato, immensamente più potente, conscio del suo fascino, avrebbe avuto il dovere (etico, non giuridico) di starle alla larga. Come un professore di fronte agli allievi, sia pur maggiorenni; come ogni persona cui il ruolo dà un fascino e un potere particolare. Se poi il boss è anche la persona che guida i destini del mondo, beh, personalmente non desidero avere al timone qualcuno o qualcuna incapace di resistere alla gustosa caramella offerta da una persona giovane e infatuata.
La questione diventa più sottile se ci chiediamo che tipo di atteggiamento il democratico Clinton avesse di fronte alle donne in generale. Donald Trump si vantava che gli bastasse “grab them by the pussy”, Berlusconi organizzava le cosiddette “feste eleganti” che per la stampa diventarono i “bunga bunga”. E Bill Clinton considerava ogni donna potenziale terreno di conquista? Judy Woodruff nell’intervista già citata gli chiedeva, Weinstein ha finanziato a lungo le campagne sue e di sua moglie; possibile che non aveste mai avuto sentore di nulla? “Ogni volta che lo abbiamo incontrato è stato a un evento di beneficenza o a un evento pubblico, e lui era con la famiglia. Nessuno mi ha mai detto nulla”, risponde l’ex presidente. Sottointeso: se avessi saputo come si comportava le cose sarebbero state diverse. Davvero?
La logica dei due pesi e due misure si perpetua. Monica Lewinsky ha compiuto 50 anni, si è faticosamente ricostruita una vita, anche se ha perso per sempre il diritto alla privacy. La sua vita è stata definita dagli incontri col presidente; per lui è stato uno scivolone, una indiscrezione, un incidente che merita appena qualche pagina di una ricca biografia.