Uccidere – o quantomeno cercare di farlo – un informatore russo della CIA sul suolo statunitense. I servizi di Mosca non si erano mai spinti fino a tal punto, a conferma di un certo daltonismo da parte del presidente russo Vladimir Putin in tema di linee rosse.
L’operazione segreta ha come sfondo la soleggiata Miami e come bersaglio Aleksandr Poteyev, ex alto funzionario dell’intelligence russa divenuto informatore dei 007 americani. Allo zio Sam Poteyev fornisce informazioni succulente, che nel 2010 consentono all’FBI di arrestare 11 agenti russi sotto copertura operativi nei sobborghi e nelle città della costa orientale USA.
Sarebbe stato assai difficile catturarli altrimenti, dato che l’SVR (l’intelligence estera del Cremlino) aveva fornito loro documenti d’identità falsi e occupazioni parallele del tutto regolari. Anni di copertura vengono perciò gettati al vento nel giro di pochi mesi. E così a Mosca l’ordine dall’altro diventa quello di punire il disertore Poteyev a tutti i costi – persino quello di violare il vecchio gentlemen’s agreement tra Mosca e Washington secondo cui i rispettivi servizi non possono colpire (fatalmente) sul territorio nemico.
L’elaborato tentativo di assassinio, messo in atto nel 2020, fallisce miseramente. Ma che il Cremlino possa aver pensato di usare il suolo americano per un regolamento di conti infastidisce platealmente Washington – che per tutta risposta proclama personae non gratae una decina di diplomatici e spie russe dislocate nelle città americane.
La pianificazione dell’attentato contro Poteyev viene ampiamente descritta nel libro Spies: The Epic Intelligence War Between East and West, scritto dall’esperto di intelligence Calder Walton. Il racconto è stato ripreso in un vasto reportage del New York Times.

Qui è necessario fare un passo indietro. Poco tempo dopo l’arresto degli 11 agenti russi, l’amministrazione Obama cerca infatti comunque di tendere la mano verso Mosca, accordandosi sul rimpatrio in Russia di dieci di loro in cambio della liberazione di quattro disertori detenuti nelle carceri russe. Tra questi c’è anche l’ex colonnello Sergej Skripal, condannato per aver collaborato con l’intelligence britannica.
Non ci vuole molto, però, prima che i servizi di Mosca vengano a sapere che dietro la maxi-soffiata alla CIA c’è Poteyev. Questi, tuttavia, conoscendo a menadito il modus operandi dei suoi ex colleghi, riesce a fuggire prima di assaporare la scure di Putin. Proprio con la complicità di Langley, il russo viene segretamente trasferito in Florida nell’ambito di un programma di protezione dedicato agli informatori esteri.
Il primo campanello d’allarme arriva qualche anno dopo: nel 2018 alcuni uomini legati al Cremlino avvelenano Skripal e sua figlia a Salisbury, in Inghilterra, somministrandogli il più famigerato degli agenti nervini made in Russia: il novichok. Nonostante i due riescano miracolosamente a salvarsi, a migliaia di chilometri di distanza diventa ormai evidente che il prossimo sulla lista possa essere proprio Proteyev.

Qualcuno a dire il vero lo dà già per morto. Eppure l’ex spia russa non solo si sta godendo la vita nel Sunshine State, ma continua persino ad usare il suo vero nome – con il quale tra l’altro decide di iscriversi al Partito Repubblicano.
A smascherarlo una volta per tutte ci pensa quindi una fonte giornalistica, che sempre nel 2018 rivela al mondo che Proteyev vive da tempo nella Vice City. Non è chiaro se l’informazione fosse già nota ai servizi di Mosca, ma sta di fatto che proprio in quel periodo viene messo a punto un piano per neutralizzare il disertore, che prevede la cooperazione di un semi-ignaro scienziato messicano (coinvolto sotto minaccia di ripercussioni alla moglie russa).
Il piano omicida viene attuato nel 2020, rivelandosi però un clamoroso buco nell’acqua. Oltreché un boomerang – perché l’effetto collaterale sarà infatti quello di far infuriare Washington, che nell’aprile del 2021 decide pertanto di espellere dieci diplomatici russi (tra cui il levigato capo della S.V.R.). Di riflesso, Mosca poco dopo avrebbe risposto cacciando dieci diplomatici statunitensi, compreso il capo della stazione C.I.A. a Mosca.
Prima che la situazione, ça va sans dire, precipitasse definitivamente all’alba del 24 febbraio 2022.