Incontriamo il senatore Stefania Craxi per una chiacchierata estemporanea di politica internazionale.
Proviamo a fare insieme una rilettura sulla caduta del Partito Socialista negli anni ’90 e la fine della Prima Repubblica. Come definirebbe a posteriori l’operazione Mani Pulite?
“Tangentopoli è stata una iattura per il Paese, lo ha indebolito ed esposto in un frangente storico in cui avrebbe avuto bisogno di una classe di governo forte e autorevole, non prona ai desiderata di potentati economico-finanziari o avvezza ad accondiscendere lo straniero più che a difendere gli interessi nazionali. I suoi effetti non hanno mancato di riverberarsi sul sistema politico e istituzionale, con gravi danni al tessuto democratico che ancora scontiamo. E aggiungo una cosa…”.
Prego
“Nessuno può dire che si tratti di un giudizio di parte. Quanto sostengo è sotto gli occhi di tutti, non lo vede solo chi non vuole vederlo, chi per mala fede o per interesse, o solo perché ha tratto fortune e legittimità da quella stagione. Non si può smentire quella che Craxi definì una “falsa rivoluzione”. Un protagonista di quella stagione, il procuratore Borrelli, è arrivato a dire che “non valeva la pena di buttare giù il mondo che c’era per avere il mondo che c’è”.
Un giudizio forte che impatta anche sulla figura di Bettino Craxi a 23 anni dalla sua morte.
“La coltre di menzogne e falsità si è progressivamente diradata, la verità si fa strada. La parabola umana prima ancora che politica di Craxi viene letta nella giusta prospettiva storica. Chi sperava nella “damnatio memoriae”, chi confidava che il “Caso C.” fosse chiuso, ha sbagliato di grosso”.

Quali sono gli obiettivi principali della Commissione Affari esteri e difesa del Senato?
“La Commissione adempie ai compiti istituzionali che le sono propri, in un periodo storico gravido di pericoli. Con grande senso di responsabilità da parte di tutti i gruppi politici, stiamo lavorando in un clima di piena collaborazione, in un rapporto fecondo con gli interlocutori di governo – in primis il ministro degli Esteri Tajani e quello della Difesa Crosetto – che riconoscono la centralità del Parlamento e l’importanza di un dialogo costante”.
E le sfide principali che Lei, come Presidente di questa Commissione, deve affrontare?
“L’Europa è ad un bivio: o saremo in grado di darle una soggettività politica, oppure nei prossimi anni vivremo in un limbo pericoloso. Avere un’Europa politica significa anche avere una politica estera comune, una difesa europea che, contrariamente a ciò che pensa qualche partner comunitario, non è alternativa alla NATO, ma parte integrante; significa dare struttura democratica a quella che definisco una delle gambe del mondo libero insieme agli Stati Uniti d’America”.
Qual è il suo punto di vista sulla questione migranti?
“Il tema trascende i nostri confini, e per alcuni versi anche quelli europei. Infatti, non solo i confini italiani sono i confini dell’Unione, nonostante si faccia finta di non capirlo, ma il tema dei flussi migratori è un’arma impropria che può essere usata dai nostri “nemici” per condizionare le nostre democrazie. Serve perciò che le istituzioni globali si muovano con tempismo, con un approccio anche di visione politica ai dossier che riguardano il Mediterraneo e l’Africa”.
Cosa pensa delle attuali relazioni tra Italia e Stati Uniti, e quale dovrebbe essere il ruolo dell’Italia nella politica internazionale?
“La relazione tra l’Italia e gli USA affonda le sue radici in due popoli che nel corso del tempo hanno instaurato legami e sentimenti forti. Nei fatti, è un vero e proprio rapporto speciale che dobbiamo continuare a coltivare con sapienza ad ogni livello. L’Italia può e deve svolgere un ruolo primario nell’area del Mediterraneo, per ragioni non solo geografiche e culturali, ma in virtù della percezione tutta positiva di cui il nostro Paese gode in quella parte del mondo”.

Una rapida disamina della situazione in Afghanistan dopo il ritiro delle forze internazionali.
“Siamo in presenza di un tentativo di restaurazione. Personalmente, la sensazione di avere buttato a mare vent’anni, di avere sacrificato risorse e soprattutto vite umane è forte. In un frangente in cui tutto sembra nuovamente esplodere, considero offensivo, anzitutto verso i nostri 53 caduti e verso gli oltre 700 feriti, il fatto che l’Onu non abbia invitato l’Italia alla recente Conferenza di Doha. In Afghanistan è cresciuta in questi anni una società civile forte e consapevole, giovani donne che non intendono indietreggiare di un solo millimetro, nonostante repressioni e violenze, dai diritti e dalle libertà acquisite. A loro dobbiamo dare voce e sostegno, sapendo che a quelle latitudini la battaglia per i diritti coincide con la battaglia per la vita”.
Come giudica la politica estera dell’Amministrazione Joe Biden, e come pensa che influenzerà ancora le relazioni tra Italia e Stati Uniti?
“Non posso che constatare come in questo momento il rapporto tra Roma e Washinton sia più che solido, un rapporto fruttuoso a livello bilaterale come pure nei consessi multilaterali. Per il resto, non mi avventuro in giudizi sulle politiche e sulle scelte di un Paese alleato, di cui ho grande stima e rispetto, anche perché nelle nostre democrazie il giudice sovrano è sempre il popolo”.
L’Italia può contribuire a rafforzare l’UE?
“Possiamo rafforzare l’Unione solo se, tutti insieme, sapremo riformarla, se sapremo portare il nostro contributo critico affinché la burocrazia ceda il passo alla politica, se il rigore nefasto abbandonerà al più presto le dottrine di alcuni Paesi mitteleuropei. Rinnovarsi o perire era un vecchio slogan socialista che ben si adatta alla condizione dell’Unione. L’Italia deve farsi portatrice, come sta facendo, di questa voglia di cambiamento”.
Oltre al conflitto russo-ucraino, quali le principali minacce alla sicurezza globale?
“Il tema del confronto con Pechino resta il dossier principale che riguarda tutte le democrazie dell’Occidente. È una sfida sistemica alla quale siamo giunti sotto molti aspetti impreparati, che una certa Europa ha faticato e fatica a comprendere nella sua portata, che va ben oltre il tema economico-commerciale, come si è voluto far credere. Anche dagli esiti di questo confronto passano le possibilità di dare corpo ad un nuovo Ordine mondiale”.
E sulla situazione in Africa a che cosa vogliamo accennare?
“In Africa si innestano, a dinamiche locali, una serie di complessità globali che rendono la situazione esplosiva. Favorire uno sviluppo condiviso della regione è nell’interesse dell’Europa intera, che non può che trarre beneficio dalla definizione di politiche volte a ridurre le ingiustizie e le sperequazioni che ancora segnano il rapporto tra il nord e il sud del mondo. Non c’è pace dove si muore di fame e di stenti, non c’è sicurezza dove prosperano le diseguaglianze”.