Domenica 14, 61 milioni di turchi residenti sono chiamati alle urne per scegliere i 600 membri del parlamento e il presidente della repubblica per un quinquennio. I parlamentari saranno eletti con proporzionale leggermente corretto, il presidente a maggioranza assoluta al primo turno o al ballottaggio del 28 maggio.
Per la presidenza gareggiano l’incumbent Recep Tayyip Erdoğan sostenuto da Alleanza Popolare (caratterizzata da nazionalismo, sciovinismo, antisemitismo, illiberalismo, fanatismo religioso, è guidata dal partito della Giustizia e dello Sviluppo-Akp di Erdogan; nella coalizione il Movimento Nazionalista di Sinan Oğan altro candidato alla presidenza), Kemal Kiliçdaroğlu sostenuto da Alleanza della Nazione (lib-lab, con presenze conservatrici e nazionaliste, è guidata dal partito Popolare Republicano), Muharrem İnce sostenuto dal suo Partito della Patria (centrista kemalista). Al parlamento concorrono anche: l’Unione delle Forze Socialiste (comunisti), Alleanza Lavoro e Libertà (Verdi e Futuro di Sinistra), Alleanza Ancestrale (panturchismo conservatore).
L’attenzione va soprattutto all’elezione presidenziale. Secondo i sondaggi, sembra possibile la vittoria di Kiliçdaroğlu, alternativo alla democratura cleptocratica instaurata dal ventennio di Erdoğan, specie dopo il cosiddetto colpo di stato del 2016. Nei sondaggi, ad inizio settimana si aveva: Kiliçdaroğlu 47,4%, Erdoğan 45,6%, Ince 3,9%, Oğan 3,1%. Giovedì, i quattro presentavano leggere variazioni: 49,3%, 43,7%, 2,2%, 4,8%. Dovrebbe accadere quanto previsto dall’esperto di Medio Oriente Gonul Tol e dallo storico Ali Yaycioglu in Foreign Policy. “L’ondata di nazionalismo che una volta Erdoğan cavalcava, gli si è rigirata contro e lo perseguita”.

Quattro elementi consigliano prudenza a chi tifa Kiliçdaroğlu.
Il primo riguarda il voto dei circa 3 milioni di turchi nei seggi estero: le loro scelte non si rispecchiano nei sondaggi disponibili.
Il secondo racconta l’incognita dei giovani al primo voto: 8% dell’elettorato, antipatia per Erdoğan e nessuna simpatia per Kiliçdaroğlu. Voteranno le sinistre, ma all’eventuale ballottaggio non staranno certo con l’attuale presidente.
Il terzo evoca il mercato delle vacche tra partiti. I due candidati di coda rappresentano il 7% delle intenzioni di voto. Ince si è appena ritirato senza fornire ai suoi indicazione di voto; si ritiene che convergeranno su Kiliçdaroğlu. In quanto a Oğan, all’eventuale ballottaggio i suoi elettori voteranno Erdoğan.
Da ultimo i tentativi presidenziali di vincere comunque. Lo si è visto con l’inserimento nella coalizione di due partitini islamici estremisti, nonostante i mugugni Akp. Lo si vede con i provvedimenti pre-elettorali: a marzo l’annuncio ai terremotati sull’avvio della ricostruzione e la promessa di 300.000 nuove case entro un anno, in maggio gas naturale gratis alle famiglie, abbassamento dell’età di pensionamento e salario minimo innalzato, per luglio garanzia di forti aumenti salariali. Il tutto mentre galoppa il debito pubblico.
La partita appare complessa. Non si dimentichi che il calo di popolarità del presidente padrone è dovuto sì allo stato comatoso di un’economia fondata sulla corruzione mascherata da liberismo (in aprile inflazione annua al 43,7% ma 53,1% per il cibo, valore della lira turca dimezzato dal 2021), ma soprattutto alle due disastrose scosse di terremoto di febbraio, con mezzo milione di evacuati e più di 50mila morti. La Turchia ha sperimentato gli effetti della cialtroneria di un nazionalismo religioso che fa guerre e voce grossa in Mediterraneo e Asia centrale, ma alla prima seria difficoltà interna non sa provvedere neppure ai bisogni primari di un’emergenza. I palazzi si sono sgretolati anche perché i costruttori, con la compiacenza delle autorità, hanno prodotto case insicure e fuori norma. Le necessarie riforme strutturali Erdoğan non le ha volute mai fare, perché il suo liberal-populismo non gli ha consigliato di mettere in sintonia le politiche fiscale e monetaria.

C’è in gioco parecchio, in queste elezioni.
Erdoğan è stato un perfetto nazional populista. Ha spaccato la società, soffiando sull’orgoglio nazionale e sui valori tradizionali per comprimere le libertà e occupare lo stato, definendo nemico della patria e terrorista chiunque avesse idee diverse, facendo terra bruciata intorno al popolo curdo e al Pkk (partito Curdo dei Lavoratori). In politica estera, nonostante la Turchia sia membro della Nato, ha flirtato con Putin su forniture missilistiche (e per questo sconta sanzioni Usa) e aggressioni all’estero. Mentre il paese continua a caratterizzarsi per vaste sacche di povertà e di emigrazione, ha appena messo in mare la prima portaerei, ha virtualmente aperto il primo impianto nucleare (in cogestione con la Russia), si è fatto ritrarre al volante della prima auto elettrica di produzione turca.
All’immagine del tronfio presidente (slogan elettorale: “Momento giusto, uomo giusto”), Kiliçdaroğlu ha risposto con una campagna di unità nazionale (si è fatto fotografare con i sindaci di Istanbul e Ankara, già candidati alla presidenza), forte del generale riconoscimento alla sua specchiata onestà e intelligenza. Mentre l’avversario ai comizi gli dava dell’ubriacone, è finito in televisione con una cipolla in mano: ripreso nella cucina di casa, l’abito dimesso dei lavori domestici, ha fatto di conto sui costi che il paese sta pagando ai vent’anni di cura Erdoğan. Generi alimentari inarrivabili, fuga dei giovani e dei talenti, inflazione. In un altro video ha mostrato di appartenere agli Alevi (tra 4% e 25% dei turchi), la minoranza islamica conosciuta per rifiuto dei dogmi, l’alta spiritualità che l’accomuna al sufismo, lo spirito non divisivo e di fratellanza universale.
Se, come sembra, vincerà, sul fronte interno dovrà mantenere fede all’impegno di Alleanza Nazionale a ridimensionare il presidenzialismo a vantaggio del parlamentarismo. Per farlo, gli serviranno i voti dello schieramento che mette insieme curdi e forze di ispirazione socialista. Se chiederà loro appoggio, aprirà un processo gravido di conseguenze politiche, prestando il fianco a facili accuse di estremismo e terrorismo.
In politica estera, Kiliçdaroğlu proverà a riportare a casa gli armati turchi che il suo avversario ha sguinzagliato tra Asia centrale e Medio Oriente. Se lo farà, di fatto aprirà ai curdi opportunità di un certo interesse, che li ricondurrebbe ai decenni nei quali sembrava che il dialogo con Ankara fosse possibile. Imprevedibili le mosse di politica estera, salvo aspettarsi il pieno riallineamento sugli obblighi Nato e il rilancio del dossier sull’adesione all’Ue.