Se, come affermava il grande Dostoevskij, la bellezza salverà il mondo, Napoli non avrebbe di che preoccuparsi. Perché una città fondata con amore e per amore, non ha certo timore del passare del tempo, proprio come la sirena Partenope, che secondo il mito, cercò di sedurre Ulisse con il suo canto nelle acque limpide del golfo, ma non riuscendo nel suo intento, per il dolore si gettò dalla roccia più alta, dando vita così a una città che ha nel DNA il cuore di una sirena.
Affascinante e “faticosa”, come una bella donna tutta da ammirare, Napoli espone il meglio ed il peggio di sé in un frangente di secondo.
Un panorama unico, e ancora più coinvolgente in questi giorni: il Napoli da capolista, rischia di alzare al cielo il terzo scudetto della sua storia, a distanza di 33 anni, quando ad alzarlo fu Maradona. Dunque tutti in fila a salutare il campione di sempre, un rito pagano svolto con devozione religiosa, come se Diego fosse comunque protagonista anche di questo scudetto, il primo senza di lui.
È una giornata piovosa, ma ai Quartieri Spagnoli le gocce d’acqua non attecchiscono, non c’è fisicamente spazio tra un fedele e l’altro, nonostante l’1-1 contro la Salernitana, che ha soltanto rimandato la festa di una settimana.

Le strade sono ugualmente imbandite a festa, striscioni azzurri occupano il cielo, facendo gioire anche Partenope. In via Emanuele De Deo, il vicolo che da via Toledo porta a quello che è noto a tutti come Largo Diego Armando Maradona, non si passa. La Cappella Sistina dei tifosi azzurri e di chiunque ami Maradona e il suo calcio profetico, è stata realizzata nel 1990, dopo il secondo scudetto vinto dai partenopei. In lontananza si vedono dei bambini pronti ad acquistare le maschere di Osimhen, mentre gli adulti si fermano al bar Nilo, immobili ad ammirare il capello di Maradona, che la leggenda vuole sia stato prelevato dal sedile dell’aereo su cui viaggiava il campione argentino accanto al proprietario dello storico locale.
Gioia, contentezza, affetto, questi sono i sentimenti che aleggiano tra le strade piene di turisti e tifosi, che senza neanche conoscersi, partecipano alla stessa festa, indossando tutti la maglia azzurra. Un coro dietro l’altro, un inno dietro l’altro: essere napoletani è bellissimo.
Anche i camerieri del Gambirius, uno dei più antichi ed eleganti bar della città, indossano con vanto lo scudetto tricolore sulle eleganti giacche bianche.
Se ci si sposta sul lungomare, è possibile intravedere un’infinita sfilata di magliette, fra Osimhen e Kvaratskhelia spunta la 10 del Dios, un tridente galattico che unisce passato e presente. L’immagine è questa: capitan Di Lorenzo, cresciuto poco distante dal Vesuvio, insieme a Victor Osimhen e altri giocatori scrutano l’orizzonte e scorgono Diego Maradona che solleva lo scudetto con il numero 3, mentre accanto a lui sorridono divertiti Pino Daniele, Massimo Troisi, Bud Spencer e Mario Merola. Come se in un delicato spazio di cielo, si cantasse a squarciagola.
Perché Napoli è un Regno fondato sul pallone, su Diego Armando Maradona, sulla bellezza indiscutibile della Loren, sui giganti Totò ed Eduardo, e sulla pizza Margherita, come la regina da cui prende il nome.