Non accenna a placarsi l’ondata di violenza ad Haiti.
Lunedì una folla nella capitale Port-au-Prince ha aggredito e bruciato vivi 13 presunti membri di una banda che erano stati fermati dalla polizia.
Le vittime – a cui poco prima la polizia aveva confiscato delle armi – sarebbero state picchiate con pneumatici imbevuti di benzina prima di essere dati brutalmente alle fiamme. Non è ancora chiaro come e perché la folla inferocita sia venuta a contatto con i presunti criminali.
Haiti è alle prese con un profondo caos politico-sociale fin dall’uccisione del presidente Jovenel Mossé nel luglio 2021, e ormai circa il 60% della capitale è controllato da bande criminali. Un caos che, secondo un report delle Nazioni Unite pubblicato lunedì, è paragonabile a quello di un Paese in guerra.
Le gang armate continuano a lottare per il controllo del territorio e gli scontri con la polizia e le altre bande sono diventati sempre più violenti e frequenti, provocando centinaia di vittime civili. Solo tra il 14 e il 19 aprile la violenza delle bande ha ucciso oltre 70 persone, tra cui 18 donne e due bambini.
Gli Stati Uniti hanno a lungo cercato di convincere il Canada a guidare una forza di peacekeeping internazionale, ma invano. E proprio negli scorsi giorni, l’amministrazione Biden ha deciso di ampliare in maniera significativa le concessioni di visti umanitari per chi scappa da guerre e persecuzioni politiche. La misura, introdotta l’anno scorso, ha consentito a centinaia di migliaia di ucraini e latino-americani – soprattutto haitiani – di volare negli USA e ottenere rapidamente un permesso di lavoro.
In aggiunta a ciò, lo scorso dicembre Washington ha annunciato un regime di protezione speciale per più di 100.000 haitiani che si trovavano già negli Stati Uniti, compreso il permesso di lavorare e rimanere nel Paese per almeno 18 mesi.