L’appuntamento è davanti al murale di Irma Bandiera a Bologna, appena fuori le Mura cittadine e a due passi dall’Arco del Meloncello dove la ragazza venne uccisa a colpi di pistola dai fascisti, dopo giorni di torture. Lì si raccoglieranno in preghiera, la mattina del 25 aprile, i cattolici movimentisti che più guardano a una sinistra radicale. Con la benedizione implicita della Curia, si uniranno in suffragio delle <anime dei patrioti che hanno dato la vita per liberare l’Italia dal male demoniaco>. Ovvero il fascismo e il nazismo. Irma morì la vigilia di Ferragosto del ’44. Aveva 29 anni. Militante del Partito comunista, malgrado le torture non rivelò i nomi dei compagni d’azione.

Si può cominciare anche da qui per raccontare quel che sarà la giornata della Liberazione, 78 anni dopo l’entrata delle brigate partigiane a Milano e Torino. La guerra non finì subito: Mussolini venne catturato e giustiziato tre giorni dopo. Si continuò a combattere fino ai primi di maggio. Ma il 25 aprile è la data simbolo scelta con la legge n. 269 del maggio 1949, presentata da De Gasperi in Senato nel settembre del ’48, per celebrare la definitiva sconfitta della Germania nazista e dei repubblichini di Salò. Una festa nazionale, dunque. Altri Stati europei ricordano la fine dell’occupazione straniera durante la seconda guerra mondiale, in date diverse: Paesi Bassi e Danimarca la festeggiano il 5 maggio, la Norvegia l’8 maggio, la Romania il 23 agosto. Il 5 maggio anche l’Etiopia celebra la Liberazione, quella del ’41 però, e allora gli oppressori eravamo noi italiani. Contraddizioni della Storia.
Si può cominciare a parlare del 25 aprile proprio da Bologna per una serie di validi motivi. Innanzitutto perché questa città, roccaforte di un rosso antico oggi un po’ stinto, è decorata con la medaglia d’oro al valor militare: <Non volle soggiacere alla prepotenza del tedesco invasore (…) e fu all’avanguardia nella insurrezione che portò la patria alla riconquista della libertà>. Poi per l’auspicio inciso nella lastra di marmo affissa sul muro del Palazzo comunale, quanto mai attuale in questo momento: <L’avvento di una società più giusta nel pacifico consorzio di tutte le genti>. E se ne può parlare perché qui vive l’onorevole Elly Schlein, vice presidente dell’Emilia-Romagna. Di famiglia cosmopolita e altoborghese, cittadina statunitense naturalizzata svizzera e finalmente politica italiana, questa giovane donna di 38 anni si è presa sorprendentemente la segreteria del Partito democratico, con l’arduo compito di ridargli un’anima e una nuova rotta. Ponendosi subito come alternativa – ideologica e d’immagine – alla prima donna presidente del Consiglio tricolore: Giorgia Meloni, bellicosa leader di Fratelli d’Italia e frontwoman del governo di destra-centro.
Date le premesse, il 25 aprile sarà ancor più del solito terreno di scontro tra opposte visioni della storia, della politica e della società. Le premesse stanno a confermarlo. Vedasi la polemica sollevata dalla sortita senza rete di Ignazio La Russa, socio fondatore del partito della premier e presidente del Senato: <Nell’attacco di via Rasella a Roma, i partigiani uccisero non biechi nazisti delle SS ma una banda musicale di semi pensionati altoatesini, sapendo benissimo che c’era il rischio di una rappresaglia>. Per cercare di spegnere una fiamma controproducente, è intervenuta la Meloni in persona, ammettendo l’errore del suo luogotenente: <È stata una sgrammaticatura istituzionale che La Russa ha risolto da solo: ha chiesto scusa, mi pare che il caso sia chiuso>. Ovviamente così non è stato. Per risolvere il problema, non poteva bastare dipingere la seconda carica dello Stato come un vecchio fascistone, che dice cose imbarazzanti, ma in fondo è innocuo. Anche perché in una mezza scivolata è incappata anche la premier, che commemorando le vittime delle Fosse Ardeatine ha detto: <Uccisi perché italiani>, senza citare il loro antifascismo.
E così si torna alla casella zero. <Dico a questo governo, a questa maggioranza e alle più alte istituzioni che non permetteremo a nessuno di riscrivere la storia e di cancellare la storia antifascista di questo Paese>, tuona la Schlein. Si cita a proposito una frase datata 2018 della Meloni, allora relegata all’opposizione, come esempio di cattiva coscienza: <Il 25 aprile e il 2 giugno sono feste divisive. Torniamo a festeggiare il 4 novembre>. E’ forse per questo che la destra di governo non ha ancora deciso che cosa fare in vista della festa della Liberazione. La premier sarà all’Altare della Patria. Ma quando le hanno domandato di una eventuale presenza dei ministri alle celebrazioni ufficiali ha replicato infastidita: <Non credo di doverglielo chiedere io>. E che farà Matteo Salvini? Difficile pensare che partecipi ad appuntamenti istituzionali, lui che con la Festa della Liberazione – di solito la utilizza per rivendicare <tutte le libertà> – ha un rapporto quantomeno complicato. Nel mirino della sinistra anche Lorenzo Fontana, il presidente leghista della Camera, cattolico ultrà nemico delle famiglie gay: da ministro voleva abolire la legge Mancino che punisce chi diffonde odio razziale, discriminazione e violenza.
Insomma il muro contro muro è sempre più robusto. Indistruttibile. Restiamo a Bologna e dintorni: il 25 aprile a Monte Sole, teatro della più grave strage nazifascista compiuta in Italia, non sono stati invitati esponenti di governo. Sarebbero stati ospiti sgraditi. <Chi viene qui deve difendere la festa e il suo significato>, ha colpito duro Valentina Cuppi, sindaca dem di Marzabotto. Aggiungendo sprezzante: <Abbiamo fatto altre scelte>. Tagliente la risposta da destra: <Altro che fascismo e Liberazione, liberiamoci dalla retorica dell’antifascismo>. La questione impone un paio di domande ancora senza risposta: quanto sarebbero credibili gli esponenti della destra al governo se aderissero ai valori della Resistenza? E come sarebbero accolti se si presentassero ai cortei? Seppellire i rancori non è riscrivere la storia, perché <ciò che è scritto è scritto>, recita il Vangelo. Il sospetto è che siano in pochi a volere una reale pacificazione.
Viene da chiedersi anche che cosa pensano i ragazzi di tutto questo. Arriva da sinistra il messaggio della Rete degli studenti e dell’Unione degli Universitari alla premier e ai ministri Valditara e Bernini: <Sarebbe vostro dovere dichiararvi antifascisti, il clima che respiriamo ogni giorno ci costringe a vivere la festa della Liberazione con uno spirito diverso. Il 18 febbraio scorso alcuni studenti come noi sono stati aggrediti a Firenze, fuori dal proprio istituto, da militanti neofascisti. Non è un caso isolato. Ma quel che più ci allarma è che nelle scuole e nelle università di antifascismo si parla poco>. E i più piccoli? Oltre alla camminata partigiana per adulti promossa per onorare il 25 aprile, l’Istituto Parri – a Bologna, sempre Bologna – promuove un incontro intitolato <La Resistenza spiegata ai bambini>, quelli fra i sei e i dieci anni. Mezz’ora per spiegare in poche righe <a cosa si opponevano i patrioti italiani e quali erano i nemici da combattere>. Un esercizio di memoria: sembra niente, ma può fare molto.