Da almeno una settimana nei corridoi del ministero della Giustizia, in quelli del tribunale di Milano, così come a Palazzo Chigi e a Palazzo Dante (quartier generale romano dell’intelligence) riecheggia un dilemma insistente: come ha fatto uno dei sospettati più sorvegliati d’Italia a fuggire impunemente dal Paese?
Beninteso, non si parla di dettagli tecnici, che sono invece piuttosto chiari. Il magate russo Artem Uss è infatti riuscito a sfuggire alla cattura – e a evitare di essere estradato negli Stati Uniti – arrivando in Slovenia con un passaporto falso e proseguendo il suo itinerario verso la Serbia, dove si sarebbe infine imbarcato su un volo per Mosca. Un’operazione pianificata al dettaglio e a cui, secondo gli inquirenti, avrebbe preso parte un’équipe composta da 6-7 persone oltre a diversi agenti dei servizi di Mosca.
Uss, 40 anni, era stato fermato all’aeroporto di Milano-Malpensa nell’ottobre 2022 proprio su mandato di cattura emesso da Washington, mentre si preparava a salire su un aereo diretto in Turchia per raggiungere la Russia.
Il miliardario – nonché figlio del governatore di Krasnojarsk – è ricercato dalle autorità americane con l’accusa di riciclaggio di denaro e importazione di tecnologia occidentale in spregio alle sanzioni USA contro Mosca. La corte federale di Brooklyn lo accusa inoltre di aver preso parte ad attività di esportazione illegale di milioni di barili di petrolio venezuelano a Russia e Cina.

Il vero dilemma riguarda perché Uss fosse stato ritenuto dal tribunale di Milano meritevole di essere posto agli arresti domiciliari. Una misura cautelare che, secondo il Codice penale, va concessa solo in mancanza di un pericolo di fuga da parte del sospettato.
E il pericolo di fuga evidentemente c’era, come era stato segnalato già lo scorso 29 novembre in una missiva inviata dal dipartimento di Giustizia USA al ministro della Giustizia Carlo Nordio. “Dato l’altissimo rischio di fuga che Uss presenta, esortiamo le autorità italiane a prendere tutte le misure possibili per disporre nei confronti di Uss la misura della custodia cautelare per l’intera durata del procedimento di estradizione”, si legge nel documento.
Da Via Arenula avevano però rassicurato i colleghi di Washington, sostenendo che Uss fosse stato dotato di un braccialetto elettronico che, anche a detta della magistratura milanese, era sicura tanto quanto la detenzione in carcere.
Gran parte della detenzione cautelare Uss l’ha trascorsa proprio a casa. Meno di un mese dopo il suo arresto il tribunale di Milano gli ha infatti concesso i domiciliari nella sua abitazione di Basiglio, nell’hinterland a sud del capoluogo meneghino.
E il 22 marzo, un giorno dopo che un tribunale di Milano aveva accettato la richiesta di estradizione americana, è scattato puntualmente il piano di evasione. Distrutto il braccialetto elettronico, Uss è così riuscito a lasciare (forse per sempre) il Belpaese e tornare in patria – beffando in un sol boccone Governo, 007 e magistratura.

Nei palazzi del potere romani è già partito il redde rationem. Il cancelliere Nordio ha ordinato di indagare sul perché la Corte d’appello milanese avesse ritenuto opportuno permettere a Uss di rimanere a casa – in attesa di prendere una decisione sull’estradizione. La magistratura ha risposto che gli arresti domiciliari erano “concedibili” e rappresentavano una “misura idonea a garantire l’eventuale consegna della persona all’autorità estera procedente”. E anche la premier Meloni è apparsa visibilmente contrariata all’audizione a porte chiuse del Copasir tenutasi lo scorso giovedì.
Da Washington, per il momento, nessuna dichiarazione ufficiale. Ma è evidente un certo grado di delusione per essersi lasciati scappare un ‘pezzo grosso’. Disappunto che verrà verosimilmente affrontato a quattro occhi con gli ‘sbadati’ colleghi italiani.