C’è una sola certezza nel rapporto conclusivo del gran giurì speciale della Georgia che per mesi ha ascoltato le testimonianze e visionato le prove dei tentativi dell’ex presidente Donald Trump e dei suoi alleati di ribaltare la sconfitta elettorale del 2020 in questo Stato: in molti hanno testimoniato il falso.
Questa mattina il giudice della corte superiore della contea di Fulton, Robert McBurney, ha ordinato la pubblicazione dell’introduzione e della conclusione del rapporto, in cui secondo loro molti testimoni avrebbero mentito sotto giuramento. I nomi dei testimoni per ora non sono stati rilasciati.
McBurney ha affermato che il rilascio del rapporto completo in questo momento avrebbe violato il principio costituzionale del “Due Process”, l’insieme delle garanzie costituzionali di legalità e giustizia poiché ciò che è stato presentato ai giurati è stata una “esplorazione unilaterale” di ciò che è accaduto. Sta poi al District Attorney analizzare e decidere se rinviare a giudizio o prosciogliere gli indagati. Il magistrato ha fatto presente che durante le deposizioni al gran giurì non c’erano avvocati che “difendevano gli obiettivi dell’indagine” e coloro che hanno testimoniato non erano autorizzati a “presentare prove” o “confutare” altre testimonianze. Insomma le raccomandazioni dei giurati sono solo per il District Attorney che poi deve decidere.

“La conseguenza di queste carenze del giusto processo non è che il rapporto finale del gran giurì sarà soppresso o che le sue raccomandazioni siano in alcun modo viziate o sospette”, ha scritto McBurney. “Piuttosto, la conseguenza è che quelle raccomandazioni sono solo per gli occhi del procuratore distrettuale – per ora. Il “Due Process” richiede questo”.
Con questa decisione, comunque, anche se indirettamente viene evidenziato che dei reati sono stati commessi.
Circa una ventina di persone hanno testimoniato davanti al gran giurì. Tra cui Rudy Giuliani, l’ex avvocato personale di Trump, e David Shafer, il capo del Partito Repubblicano della Georgia. Elemento centrale dell’indagine è l’ormai famosa telefonata di Trump del 2 gennaio 2021, durante la quale chiedeva a Brad Raffensperger, segretario di stato della Georgia, di “trovare” 11.780 voti, il numero di cui aveva bisogno per superare il vantaggio di Joe Biden.
Un’altra parte delle testimonianze ha presso in esame la finta lista dei Grandi Elettori presidenziali che si incontrarono in segreto ad Atlanta, e firmarono sotto la regia degli avvocati di Trump, i documenti in cui affermavano di essere loro “elettori debitamente eletti e qualificati”. Un trucco in modo da mettere in dubbio la legittimità delle elezioni. Un appiglio che avrebbe potuto essere usato dal vicepresidente Mike Pence, nella sua qualità di presidente del Senato, per non certificare la vittoria di Biden. Pence si rifiutò di prendere parte al complotto e subito dopo ci fu l’assalto al Congresso.
Nelle conclusioni del gran giurì è stato inoltre accertato che non ci sono state frodi nelle elezioni del 2020 in Georgia, contrariamente a quanto sostenuto da Donald Trump.
Una decisione questa del tribunale di Atlanta che arriva mentre altre indagini vengono svolte sui tentativi di Trump e dei suoi sostenitori per sovvertire i risultati delle elezioni del 2020.
A dicembre, la Commissione d’Inchiesta della Camera che indagava sull’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 ha pubblicato il suo rapporto finale di oltre 800 pagine, che citava prove tratte da migliaia di documenti e oltre 1.000 interviste a testimoni. Il comitato non stava conducendo un’indagine penale e le sue conclusioni non hanno rilevanza legale. Tuttavia, ha sostenuto che Trump, con l’aiuto degli alleati, ha orchestrato il complotto per rimanere in carica nonostante la sua sconfitta elettorale.