Occorre chiedersi quale tipo di sistema internazionale sarà possibile instaurare, una volta terminate le operazioni militari in Ucraina. Per averne uno orientato alla collaborazione, ci vorranno volontà e capacità. Purtroppo gli stati hanno mostrato di non disporne, almeno dalla metà degli anni ‘90, quando hanno iniziato a far cadere l’ipotesi del patto mondiale condiviso tra le potenze, seguita alla caduta del comunismo in Europa.
Tre fattori impedirono che si facesse ciò che era stato sottoscritto nella Carta di Parigi del 21 novembre 1990. per “Una nuova era di democrazia, pace e unità”.
Gli Stati Uniti persero il senso delle proporzioni e, terminata la presidenza di Bush padre, immaginarono di poter stravincere la guerra fredda incassando anche i dividendi non meritati e instaurando un sistema monopolare. Tra gli errori strategici, la scelta di privilegiare il rapporto con gli europei centro-orientali, evadendo le critiche degli europei occidentali.
La disgregazione dell’Urss, e l’autodevastazione della Russia verso la fine degli anni ‘90, portarono al potere a Mosca un grigio e crudele ufficiale della polizia segreta, con il mandato di mettere ordine in casa, sistemare l’economia ristatalizzando le risorse strategiche, centralizzare lo stato diminuendo i poteri di oblast e repubbliche federate, ad iniziare dalla Cecenia in rivolta, rilanciare Mosca negli affari internazionali partendo dal cortile di prossimità georgiano, ucraino, baltico, riarmare l’Armata Rossa dandole nerbo e morale.
L’Unione Europea, impegnata nell’approfondimento che doveva farle compiere un fondamentale passo del processo federale e conferirle autentica autonomia verso gli Usa, fu ricondotta ai più miti propositi dell’allargamento, e impaniata nelle responsabilità verso le arretrate democrazie in uscita dalla galera sovietica.
Intanto la globalizzazione consentiva alla Cina di imporsi, fornendo ulteriore complessità alla gestione sistemica degli affari internazionali.
Dismessa la volontà di cooperare alla costruzione del “nuovo ordine”, gli stati ritrovarono le peggiori abitudini, confermando la propria natura aggressiva ed egoistica, tornando a costituire un rischio per il genere umano.
Le democrazie hanno smesso di difendere con energia diritti umani ed aggressioni contro popolazioni inermi, lasciando suppurare situazioni come quelle iraniana, palestinese, curda, afghana, birmana, delle minoranze cinesi, per richiamarne alcune. Sul piano economico e sociale non hanno prevenuto, hanno anzi spesso sostenuto, le crisi finanziarie cicliche che hanno generato il più scandaloso accaparramento di ricchezze della storia da parte di una manciata di iper-ricchi a danno dei più poveri.
Le dittature, in un ambiente internazionale caratterizzato da anarchia se non caos, sono cresciute in numero e forza, hanno scatenato guerre di rapina e conquista ovunque abbiano potuto. Vicino all’Italia, Siria, Libia, Ucraina, sono a testimoniarlo.
In uno scenario del genere, non stupisce il numero delle democrazie “difettose” dove – vedi in Europa Turchia e Ungheria – risultano smarriti tripartizione dei poteri, giustizia, diritti umani. Né stupisce che all’Onu la priorità del riscaldamento globale sia accantonata, per le urgenze imposte dall’ennesima guerra di aggressione scatenata da uno stato.
Il bilanciamento tra gli appetiti degli stati – segnatamente delle potenze – e i bisogni di un sistema globale d’ordine, sola garanzia di stabilità, potrà paradossalmente scaturire proprio dalle opportunità offerte da quest’ultima guerra, l’aggressione russa all’Ucraina, nonostante la consapevolezza che la pacificazione universale irrealizzabile alla caduta del comunismo difficilmente potrà essere raggiunta nelle presenti tensioni. Non v’è scelta: va riattivata la diplomazia multilaterale promuovendo, partecipi Osce e Onu, una riedizione della conferenza di Helsinki del 1975, che fece dialogare il sistema comunista con le democrazie liberali. Altrimenti il muro contro muro porterà al conflitto grande, non necessariamente lungo e non necessariamente nucleare, ma distruttivo e letale: vi sono già le condizioni perché avvenga.
Punto debole del ragionamento è che a compiere l’auspicato prodigio di pacificazione dovrebbero essere gli stati, i maggiori responsabili dei misfatti del trascorso trentennio in particolare dopo che gli errori della globalizzazione hanno fornito carburante ai mai sopiti nazionalismi e sovranismi. La strettoia nella quale far avanzare il ruolo di Onu e Osce potrebbe tuttavia funzionare, se gli stati accettassero le seguenti condizioni minime di partenza:
- riaffermazione della forza del diritto internazionale con il castigo esemplare dei soggetti che l’hanno violato in tempo di pace e di guerra,
- restituzione al legittimo titolare, l’Ucraina, dei suoi territori,
- stabilimento di garanzie internazionali, per minoranze e risorse economiche confinarie, tra Russia e Ucraina,
- adeguato riarmo a fini difensivi dell’Ucraina, così da evitarle il rischio di future aggressioni.
La diplomazia è l’arte dell’andare piano per andare lontano, e del negoziato paziente sino all’estenuazione, quindi inutile aspettarsi tempi brevi. Né si dimentichi che ci si siede al tavolo della pace, solo quando si ritiene di guadagnare nella trattativa più di quanto prometta il terreno. Nell’attuale stallo delle operazioni, il calcolo fornisce alle parti previsioni ambigue. Anche per questo vanno fornite subito e senza esitazioni agli ucraini le armi necessarie a dissuadere gli attacchi russi dal cielo.