Quando Jacinda Ardern fu eletta premier della Nuova Zelanda, nel 2017, si guadagnò il titolo di capo di governo donna più giovane al mondo. L’anno dopo, è diventata la seconda leader dei tempi moderni ad avere un bambino mentre in carica – dopo Benazir Bhutto del Pakistan – affermando all’epoca: “non sono certo la prima donna a fare multitasking “. Durante il suo stellare mandato, Ardern ha formato il governo più diversificato nella storia della Nuova Zelanda, con più donne, persone di colore, LGBTQ e nativi negli annali di un paese di soli 5 milioni di abitanti di cui nessuno, prima di lei, sembrava interessarsi.
In un’era in cui le donne continuano ad essere una rarità nella politica globale, (con solo 28 paesi rappresentati da leader donne nel 2022), grazie a lei la Nuova Zelanda è diventata la prima democrazia avanzata ad avere una legislatura a maggioranza femminile. Non c’è dunque da stupirsi se il suo addio alla politica, questa settimana, ha suscitato shock e sgomento, e non solo in patria, dove ora i laburisti devono affrettarsi a sostituirla in un momento di crisi per il partito.
La “Jacindamania” sarà anche diminuita in Nuova Zelanda, ma ha continuato a fiorire altrove e non solo nel mondo anglofono. Dagli Stati Uniti all’India e dal Giappone al Sud Africa, la notizia delle sue dimissioni riempie da giorni social media e chat room. Improvvisamente milioni di donne in tutto il mondo si sentono orfane. La sua leadership ha risvegliato le loro coscienze demoralizzate dall’ostentato maschilismo e tribalismo identitario che trionfano a livello internazionale, spinti da leader autocratici e autoritari.
Jacinda ha riempito un vuoto per i progressisti in cerca di una casa nell’era del maschilismo agli steroidi di Donald Trump, Boris Johnson, Jair Bolsonaro e Vladimir Putin. E se un nuovo studio suggerisce che una maggiore rappresentanza femminile nelle legislature può aiutare a migliorare la polarizzazione politica, Jacinda lo ha dimostrato coi fatti. Contrapponendo empatia e risolutezza alla politica al testosterone di Trump e Putin in risposta alle tante crisi. In un momento di accresciuta islamofobia, ha gestito le sparatorie di massa di Christchurch del 2019 con sensibilità, rispetto e, soprattutto, determinazione.
Ha mostrato la stessa efficienza nell’affrontare un grave terremoto e una pandemia senza precedenti, regalando al paese la riforma delle armi da fuoco e la Legge Zero Carbon, una delle più progressiste al mondo. Dopo che la misoginia istituzionale era riuscita a sbarrare la strada a leader talentuose quali Hillary Clinton e Elisabeth Warren, ostacolando il percorso della vice di Biden Kamala Harris e dell’ex premier australiana Julia Gillard, Ardern sembrava aver inaugurato la nuova era dell’emancipazione post “Me Too”.
In realtà non è andata così. Sin dal primo giorno, e per tutto il suo periodo come primo ministro della Nuova Zelanda, Jacinda è stata perseguitata da insulti sessisti e misogini di giornalisti, commentatori online e colleghi politici. Proprio come è successo alla prima ministra finlandese Sanna Marin e, prima di loro, alla tedesca Angela Merkel, la britannica Theresa May e la liberiana Ellen Johnson Sirleaf.

Nel suo discorso di commiato – “Non ho più le energie necessarie” e “So cosa ci vuole per far bene questo lavoro e io non ho più le forze” – moltissime donne hanno visto lo sfinimento di una leader costretta ad essere costantemente sulla difensiva in quanto donna. “Nessun politico uomo sarebbe mai oggetto delle domande e critiche sessiste riservate alle colleghe donne”, nota giustamente il Washington Post.
Ma il suo addio può essere interpretato anche come il trionfo dell’indipendenza e della libertà di scelta caldeggiate dal femminismo. Proprio come il suo stile di leadership “gentile, ma forte” contrastava con l’atteggiamento macho di tanti premier e presidenti, così la sua partenza sembra tanto più ammirevole in un mondo in cui Jair Bolsonaro e Donald Trump hanno cercato di aggrapparsi al potere anche dopo essere stati licenziati dall’elettorato. “L’importante per un politico è sapere quando è ora di ritirarsi”, ha spiegato lei nella sua conferenza stampa d’addio.
È quasi impossibile immaginare un uomo nella sua posizione che ammette di essere stanco e di voler dedicarsi alla famiglia. Convinti della propria indispensabilità e assuefatti allo stile di vita e ai fringe benefits del mestiere, i politici si aggrappano quasi sempre alla poltrona. Basta guardare alla leadership Usa, guidata dal presidente Joe Biden, 80 anni come il leader di maggioranza del Senato Mitch McConnell.
L’uscita di Ardern è però molto diversa dal tipo di “rinuncia” che in passato ha costretto tante donne a scegliere la famiglia al lavoro. “Dimettendosi alle proprie condizioni, Jacinda si sta ribellando allo status quo piuttosto che semplicemente caderne vittima”, scrive Bloomberg News, “La vera equità e uguaglianza significano avere la possibilità e il privilegio di dire di no a ciò che ci si aspetta da noi. Una volta che la polvere della storia si sarà depositata”, conclude, “la scelta di Ardern potrebbe rivelarsi l’ennesima decisione pragmatica di una leader che sapeva quando fermarsi, per se stessa e per la sua nazione”.