Viene da dire, nel dopo funerale di Benedetto XVI, che è caduta un’altra certezza. “Morto un papa se ne fa un altro” si dice da sempre. E no, non va più così, il papa c’è già e non serve eleggerlo. Ma siamo sicuri che a morire sia stato davvero un papa? La risposta è no, perché a morire è stato un “papa emerito”, non un papa e basta. Ma “emerito” cosa significa, visto che il titolo è scaturito dal cilindro dello stesso Benedetto subito dopo la decisione di lasciare l’esercizio del sommo incarico, ma non compare nel diritto canonico?
Per rispondere abbisognano una chiosa e una digressione.
La chiosa: un papa è anche vescovo di Roma, anzi lo è in quanto vescovo di Roma. Per un vescovo la categoria “emerito” è prevista esplicitamente dal diritto canonico (402 – §1: “Il Vescovo, la cui rinuncia all’ufficio sia stata accettata, mantiene il titolo di emerito della sua diocesi”); per analogia, Benedetto XVI, ancora regnante, ritenne di attribuirsi il titolo di “emerito”, estendendolo dalla qualità di vescovo a quella di papa, sorvolando su una differenza tra i due casi che sembra inficiare l’analogia: il papa, come si vedrà, rinuncia senza che nessuno sia chiamato ad accettare la sua decisione.
La digressione: da papa neoeletto, nel primo discorso che pronuncia in piazza San Pietro, Francesco si presenta alla folla acclamante, variegata per bandiere di nazioni e continenti, esclusivamente e ripetutamente come vescovo di Roma, e cita Benedetto una sola volta, non come papa ma esclusivamente come vescovo di Roma. Nessuno è autorizzato a dire che si tratti di una scelta voluta o consigliata. Quel linguaggio è teologicamente e canonicamente corretto, ma è evidente come strida la “parrocchialità” del discorso, rispetto all’universalismo rappresentato in piazza San Pietro e all’immensa platea che lo segue in televisione e in rete.
Esordisce con “Voi sapete che il dovere del conclave è di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo.” Precisa: “Vi ringrazio per l’accoglienza: la comunità diocesana di Roma al suo vescovo.” Prosegue: “Prima di tutto vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito, Benedetto XVI.” Quindi: “E adesso cominciamo questo cammino: vescovo e popolo, vescovo e popolo. Questo cammino della chiesa di Roma…” Al momento della benedizione “prima che il vescovo benedica il popolo”, invoca che ci sia “la preghiera del popolo chiedendo la benedizione per il suo vescovo”.
Sul titolo di “emerito”, si accapiglieranno per un decennio canonisti e teologi. Pronunciatosi pubblicamente il giorno dell’investitura, Francesco eviterà di tornare sul tema, lasciandolo al giudizio “dei secoli” (v. la conferenza stampa sul volo dalla Corea, 2014).
La questione non è semantica. Con la dizione “papa emerito” si sono create, non sempre consapevolmente, condizioni per una chiesa bicefala, il che non significa che ciò fosse nella volontà di papa Ratzinger. Tra le conseguenze, il fatto che sia spuntato chi, nel silenzio del vescovo di Roma emerito abbia visto il risultato della congiura dei “progressisti” contro i “conservatori”, caricando sulla chiesa faziosità di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
Contrariamente a quanto si è ascoltato anche in questi giorni di lutto cattolico, Benedetto XVI non si è mai dimesso, perché non gli è consentito dalle norme che regolano la chiesa romana. In base al can. 44 – §2, il “Romano Pontefice” può solo rinunciare alla sua funzione (“muneri suo renuntiet”); tutt’altra cosa.
Tre le condizioni per la “validità” dell’atto: “che la rinuncia sia fatta liberamente e sia debitamente manifestata; non si richiede invece che sia accettata da qualcuno.” Nel caso di Benedetto, interessa la terza condizione: come si è visto poche righe sopra, la “rinuncia” episcopale ha bisogno di accettazione, quella di Benedetto, capo supremo della chiesa, no. Laicamente il papa appare un monarca assoluto non ereditario (non solo non può dimettersi, neppure abdicare): non risponde che alla sua coscienza e a Dio. Se il papa non si dimette, ma rinuncia, è quindi un papa che “si autosospende”? Quasi che, mutate le condizioni, possa riprendere le sue funzioni (munus)?
Alla risposta positiva ha contribuito, involontariamente, Benedetto XVI quando, in un’intervista al Corriere della Sera dichiarò: «Non ci sono due Papi. Il Papa è uno solo». Ovvio che si riferisse a Francesco, ma non lo disse, e in tanti rimestarono sulla dichiarazione, non afferrando la distinzione tra unzione e funzioni. All’unzione non si rinuncia, alle funzioni sì e non sono più reintegrabili in quanto attribuite al successore.
Ci si può chiedere cosa ne sarà di coloro che hanno ritenuto, nel decennio dei due “uomini bianchi” in Vaticano, di essere nel giusto quando, presumendo fedeltà a Ratzinger, creavano difficoltà al papato. Tra di loro, anche chi promuoveva la notizia di una “mafia”, formata da membri “progressisti” delle gerarchie cattoliche, che si riunivano annualmente nei pressi di Sankt Gallen, in Svizzera per ostacolare “conservatori” come il cardinale Ratzinger e favorire “progressisti” come il cardinale Bergoglio. Nonostante il gruppo fosse informale e si assottigliasse nel tempo sino a sciogliersi nel 2006 (Ratzinger venne eletto papa al conclave del 2005), la storiella della congiura è continuata a circolare.
Senza riferimento in Vaticano, si potrebbe immaginare che i contrari allo spirito del Vaticano II (di questo si tratta!) rinfoderino le animosità, ma non è detto, perché rappresentano interessi e ideologie.
La verità è che ragionare dei papi come se fossero solo figure politiche è un errore di metodo, che porta ad errori marchiani di giudizio sul contenuto dei papati. Benedetto “oscurantista” è il papa che ha aperto gli archivi di molti segreti della Santa Sede, come Benedetto “retrogrado” è il papa che ha dialogato con il “dissidente” Hans Küng. Al tempo stesso Bergoglio – che in Argentina era ritenuto conservatore – su molte cose (v. bioetica e morale) ha riaffermato la tradizione. Però, si dice, sta sempre con i poveri, come i comunisti e socialisti. Beh, con i poveri ci stanno soprattutto Gesù e il Vangelo. “La povertà è senza ideologia”, ha detto Francesco. Si può pensare che Benedetto la pensasse diversamente?