Questa mattina gli avvocati dell’ex presidente Donald Trump hanno presentato ricorso d’urgenza alla Corte Suprema, chiedendo di impedire temporaneamente al Dipartimento di Giustizia di esaminare i documenti riservati sequestrati nella sua villa in Florida all’inizio di agosto.
La richiesta è stata fatta pochi giorni dopo che una giuria di tre giudici della Corte d’Appello federale hanno affermato che gli investigatori potrebbero conservare i documenti riservati e rivederli come parte di un’indagine penale. I documenti, ha motivato la corte d’appello, appartengono al governo, non a Trump.
Nonostante l’ex presidente abbia nominato tre giudici alla Corte Suprema durante la sua permanenza alla Casa Bianca – Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett – i loro giudizi nelle vicende che riguardano i problemi giudiziari dell’ex presidente sono stati poco favorevoli. L’Alta corte ha ripetutamente respinto gli sforzi di Trump per contestare i risultati delle elezioni del 2020.
Il contenzioso nasce dalla perquisizione dell’8 agosto da parte dell’FBI nella residenza-club di Mar-a-Lago di Trump in Florida, avvenuta come parte di un’indagine federale sulle accuse di aver portato via documenti Top Secret dalla Casa Bianca dopo aver lasciato l’incarico. Un tribunale distrettuale ha proibito alle autorità di esaminare 11.000 documenti e ha nominato uno Special Master, il giudice federale Raymond Dearie, per valutare se Trump potesse tenere alcuni dei documenti fuori dalle mani del governo. Decisione modificata dalla corte d’appello federale che ha respinto la decisione di primo grado, stabilendo che gli investigatori potevano continuare a esaminare – e non avrebbero dovuto consegnare allo Special Master – circa 100 documenti contrassegnati come Top Secret.

Poiché il caso è archiviato nel registro di emergenza della Corte Suprema, i giudici potrebbero risolvere la controversia in tempi relativamente brevi, potenzialmente nel giro di pochi giorni.
Il New York Times sottolinea come questo sia “un altro disperato tentativo dell’ex presidente di bloccare l’implacabile percorso della Giustizia” dopo che in una precedente richiesta avanzata dal Procuratore Distrettuale di Manhattan, Cyrus Vance, nel 2020 sette giudici su nove sentenziarono che “Nessun cittadino, nemmeno il presidente, è al di sopra del comune dovere di produrre prove quando viene chiamato in un procedimento penale”, decisione scritta dal presidente della Corte Suprema John G. Roberts Jr. condivisa da altri sei magistrati, per la quale dissentirono i giudici Clarence Thomas e Samuel A. Alito Jr.
Le schermaglie legali dell’ex presidente erano tornate alla ribalta ieri sera dopo che Washington Post aveva dato la notizia che l’avvocato di Donald Trump, Alex Cannon, si era rifiutato di porre il suo nome in una lettera in cui si affermava che erano stati restituiti tutti i documenti del governo portati dall’ex presidente a Mar-a-Lago nella tarda primavera di quest’anno.
Cannon era il legale di Trump nel contenzioso con i National Archives e Gary Stern era l’avvocato dell’ente federale che conserva tutti i carteggi dei capi della Casa Bianca. I National Archives avevano chiesto sia verbalmente che per iscritto almeno 11 volte ai legali dell’ex presidente di restituire i documenti che l’ex capo della Casa Bianca aveva portato con sé in Florida.

La decisione di Trump di mandare la dichiarazione ai National Archives maturò dopo che gli agenti federali a metà giugno, in una prima visita a Mar A Lago, sotto la direzione di Jay Bratt, il responsabile della counterintelligence and export control section del Justice Department, portarono via 15 scatoloni di documenti in seguito ad una ingiunzione emessa dalla corte federale il 7 maggio in cui veniva ordinato all’ex presidente di restituire tutti i documenti mancanti.
Secondo il Washington Post Trump dopo che gli agenti avevano portato via i documenti era estremamente desideroso di affermare che tutto il materiale richiesto era stato restituito, dettando una dichiarazione in tal senso. Un altro avvocato di Trump, Christina Bobb, su richiesta degli agenti che avevano portato via gli scatoloni con i documenti, aveva firmato una dichiarazione affermando che dopo una “diligente ricerca” di Mar-a-Lago lei non aveva individuato ulteriori documenti che dovevano essere restituiti ai National Archives.
Ma Cannon che aveva visto la fine che aveva fatto l’altro avvocato di Trump, Michael Cohen, “The Fixer”, si rifiutò di mandare il messaggio ai National Archives perché non sapeva se quanto gli veniva chiesto da Donald Trump fosse vero. E mentire in una dichiarazione giurata se si viene scoperti comporta la radiazione dall’albo degli avvocati. Come è avvenuto per Michael Cohen che, come è noto, avvalorò nel 2016 le bugie di Trump su un pagamento di 130 mila dollari per una relazione avuta con la pornostar Stormy Daniels e alla fine venne sacrificato dall’ex presidente che gli addossò tutte le responsabilità e lo licenziò sostituendolo con Rudy Giuliani. Anche lui poi abbandonato dall’ex presidente e lasciato al suo destino.
Il rifiuto di Cannon avvenne due mesi prima che l’FBI eseguisse il mandato di perquisizione a Mar-a-Lago. Inoltre, secondo quanto scrive il Washington Post, l’ex presidente avrebbe personalmente imballato i documenti portasti via dalla Casa Bianca. La scelta del materiale da restituire agli Archivi Nazionali sarebbe stata fatta dal presidente che da solo, senza nessuno dei suoi collaboratori presente, riempì gli scatoloni fuori dagli sguardi indiscreti di tutti.