Simone Biles, Aly Raisman e McKayla Maroney. Ci sono anche tre campionesse olimpiche tra le circa 90 atlete (e non) statunitensi pronte a fare causa all’FBI, accusando gli agenti federali di aver ostacolato le indagini sugli abusi sessuali compiuti dall’ex medico della nazionale USA di ginnastica, Larry Nassar.
Nello specifico, le donne chiedono più di un miliardo di dollari di risarcimento per i danni psicologici derivanti dagli abusi, rimproverando all’FBI di aver sottovalutato le accuse che erano state presentate all’agenzia già nel 2015. Infatti, è stato solo tra la fine del 2016 e il 2017 che, grazie all’emersione del movimento #MeToo, è scoppiato il vero e proprio scandalo.
Secondo la testimonianza delle vittime, Nassar era solito sfruttare il suo ruolo di capo-medico della Nazionale di ginnastica USA per conquistare la fiducia delle atlete. Durante le visite, spesso anche alla presenza di un genitore (del tutto ignaro di quanto accadesse), l’uomo avrebbe ripetutamente toccato i genitali delle ragazze, rassicurandole che si trattasse esclusivamente di una terapia dei “punti di pressione” per alleviare il dolore. In taluni casi, Nassar avrebbe conservato foto delle parti intime delle ragazze (all’epoca praticamente tutte minorenni) sui suoi dispositivi personali.
Della condotta criminale di Nassar erano stati appunto messi al corrente anche gli agenti federali, che però, questa la tesi dell’accusa, avrebbero gestito in maniera fallimentare l’indagine e persino chiuso un occhio sulle sue malefatte.

Sui presunti ritardi del Federal Bureau of Investigation ha voluto fare luce anche il Senato, che lo scorso 15 settembre ha chiamato a testimoniare le supercampionesse McKayla Maroney, Simone Biles, Maggie Nichols e Aly Raisman. In quella sede le donne hanno informato Capitol Hill delle dichiarazioni false o sbagliate dell’FBI in merito all’indagine. In particolare, Maroney ha raccontato di aver dettagliatamente descritto le pratiche di Nassar a un agente dell’FBI, che però non avrebbe ritenuto opportuno procedere con celerità.
Il polverone mediatico sollevato dalle dichiarazioni delle atlete aveva costretto a sua volta il direttore dell’FBI, Christopher Wray, a testimoniare davanti al Congresso per esprimere il “sincero dispiacere” dell’agenzia per i ritardi e le omissioni.
In un rapporto dello scorso luglio, anche l’ispettore generale del dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, ha stabilito che diverse violazioni dei protocolli da parte dei federali hanno portato a mesi di ritardo nelle indagini. Di conseguenza, durante lo stallo investigativo, l’ex medico sarebbe riuscito ad abusare impunemente di altre decine di vittime.
I funzionari dell’FBI “non hanno risposto alle accuse con la serietà e l’urgenza che avrebbero meritato e richiesto – si legge nel dossier – Hanno commesso numerosi errori e violato molteplici regole del Bureau”.

Ex capo-allenatore delle ginnaste USA dal 1996 al 2014, quando è scoppiato lo scandalo, Nassar lavorava come medico per la Michigan State University, posizione dalla quale è stato licenziato nel settembre 2016 proprio a causa delle accuse criminali. L’uomo è stato poi condannato in via definitiva nel 2018 da un tribunale federale con una pena che va dai 40 ai 175 anni di carcere per vari reati collegati alla pedopornografia.
Lo scorso dicembre, oltre 500 ginnaste abusate sessualmente da Nassar hanno patteggiato un accordo da 380 milioni di dollari di risarcimento con la Federazione americana e i Comitati olimpico e paralimpico statunitensi, per la mancanza di controllo sulla condotta del medico.