Si è spento a 84 anni per “complicazioni da Covid-19” Colin Powell, ex segretario di Stato nell’amministrazione di George W. Bush. Ad annunciarlo in un post su Facebook è stata la sua famiglia. Secondo il messaggio, Powell, aveva ricevuto entrambe le dosi del vaccino ed era ricoverato presso il Bethesda Naval Hospital, in Maryland. “Abbiamo perso un marito, un padre, un nonno straordinario e amorevole, oltre a un grande americano”, conclude la nota.
Nato nel 1937 ad Harlem da genitori entrambi immigrati giamaicani, Powell era cresciuto nel South Bronx e a 21 anni si era laureato in geologia al City College di New York, per poi completare gli studi alla George Washington University della capitale con un MBA nel 1971. Prima di entrare nell’agone politico, aveva militato a lungo nell’esercito e vissuto in prima persona il lacerante ventennio di conflitto in Vietnam: dapprima come consigliere dell’esercito del Vietnam meridionale dal 1962 al 1963 (anni in cui rischiò di perdere una gamba), e poi come maggiore nella Americal Division nel 1968, venendo decorato per aver salvato tre compagni in un incidente aereo.

Fu proprio la vasta competenza militare ad avvicinare Powell alle stanze dei bottoni di Washington: nei primi anni ’80 arrivò il primo incarico “politico” come consulente militare del segretario della Difesa Caspar Weinberger. Il vero salto di qualità avvenne però nel 1987, quando il presidente Reagan lo scelse quale Consigliere per la sicurezza nazionale fino al termine della sua presidenza (1989). Di lì in poi Powell avrebbe avuto una scalata irresistibile, il cui lato militare sarebbe culminato proprio nel 1989 con la nomina a Capo dello stato maggiore congiunto. Il primo incarico “civile” arrivò invece nel 2001, quando fu designato da George W. Bush come segretario di Stato, primo afro-americano a diventarlo. Proprio in quest’ultima veste si trovò a gestire la risposta diplomatico-militare agli attentati dell’11 settembre, lavorando per formare una coalizione di Stati disposti a collaborare con Washington nella lotta al terrorismo.
Nel corso degli anni fu coinvolto nella risoluzione di numerose crisi: dall’Operazione “Giusta Causa” per deporre militarmente il panamense Manuel Noriega, fino alla partecipazione della NATO al conflitto in Bosnia ed Erzegovina. Particolarmente controverso fu il discorso tenuto nel febbraio 2003 all’ONU sulla minaccia irachena. In quell’occasione, pur essendo in principio contrario all’intervento (la dottrina che prende il suo nome prevede infatti l’esaurimento di tutti i mezzi diplomatici prima dell’azione militare), venne convinto dal presidente Bush e dal vice Cheney ad accusare il regime iracheno di Saddam Hussein. Il discorso, passato alla storia per l’agitazione teatrale di una fiala contenente polvere bianca (apparentemente armi chimiche), avrebbe quindi spianato la strada all’invasione statunitense dell’Iraq, iniziata appena un mese dopo. Nel 2004 Powell passò al contrattacco e accusò pubblicamente la CIA di avergli mentito sull’esistenza di riscontri incrociati, ammettendo la falsità delle prove anti-Saddam.
Costretto alle dimissioni proprio nel 2004, Powell si era per lo più concentrato sugli affari, entrando nei CdA di alcune società e partecipando a conferenze in tutto il Paese. Nel 2016 tre grandi elettori democratici lo avevano persino votato come presidente degli Stati Uniti al posto di Hillary Clinton. Repubblicano assai critico nei confronti di Trump, nei mesi precedenti l’elezione del 2020 si era speso a favore di Joe Biden, fino alla decisione di lasciare il GOP in dissidio con la nuova piega presa dalla leadership dopo l’assedio del Campidoglio.
Powell, che soffriva di mieloma multiplo, lascia la moglie Alma Vivian (sposata nel 1962) e tre figli.