“Seguite i soldi” disse Deep Throat a Carl Bernstein e Bob Woodward quando nel 1973, nel mezzo dello scandalo Watergate, diede l’informazione ai due giornalisti del Washington Post sulla pista da seguire per venire a capo dell’insabbiamento ordinato da Richard Nixon nel tentativo di coprire le sue responsabilità. Un suggerimento valido 47 anni fa e valido ancora oggi. Così, alla vigilia del dibattito con Joe Biden, il presidente si trova a dover spiegare agli elettori che quelle pubblicate dai giornali sono tutte “fake news” che lui le tasse le ha sempre pagate, che il New York Times pubblica menzogne per danneggiarlo politicamente. Che lui è ricchissimo e non è vero che è pieno di debiti. Urla, grida, minaccia querele e manda tweet pieni di livore.

Dopo lo scoop del New York Times sulle tasse del presidente che avrebbe pagato solo 750 dollari di imposte federali sul reddito nel 2016 e altri 750 nel 2017 non pagando nulla sul reddito in 10 dei 15 anni precedenti, uno dei suoi avvocati, Alan Garten, fa sapere che “la maggior parte, se non tutti, i fatti riportati dal New York Times sembrano essere inesatti”. “Negli ultimi dieci anni, il presidente Trump ha pagato decine di milioni di dollari in tasse personali al governo federale, compresi milioni di dollari da quando ha annunciato la sua candidatura nel 2015”, ha sottolineato Garten.
Come detto, urla, grida, minacce di querele, ma la dichiarazione dei redditi, così gelosamente custodita, non salta fuori. E c’è un particolare poco sottolineato: Trump, per mantenere la segretezza della dichiarazione dei redditi dal 2010 e poter dire che ha un contenzioso aperto con l’Internal Revenue Service per aver dedotto 76 milioni di dollari di spese che gli vengono contestate, ha speso più di 100 milioni di dollari in costi legali. E poi si fa una enorme polverone tra tasse federali, tasse statali e tasse comunali. Queste ultime due sono sotto la lente d’ingrandimento del Procuratore distrettuale di Manhattan, Cyrus Vance jr. e del procuratore generale dello Stato di New York, Letitia James.
Uno scoop, questo del New York Times, che evidenzia come Trump sia più un maneggione che un ricco, che i suoi investimenti sono dei colossali bidoni, che la sua ricchezza sia fonte della sua fantasia, che dare l’illusione di essere ricco è più importante che esserlo veramente, riecheggiando le graffianti parole di Bloomberg (vedi video sotto) alla Convention democratica del 2016.
E non è solo la parte delle tasse che è preoccupante, ma quella dei debiti, più di 421 milioni di dollari in scadenza tra pochi mesi, e quella degli intrecci tra le sue aziende e gli investitori esteri. Una preoccupante mancanza di chiarezza che potrebbe aver gravemente danneggiato il Paese e che riapre il vecchio, e mai risolto problema, di chi sia il finanziatore occulto del presidente poiché le banche americane, dopo che le sue aziende hanno dichiarato sei volte la bancarotta, non gli prestano un centesimo. 421 milioni di dollari in scadenza ma non si sa chi siano i titolari del prestito. E riecheggiano le allarmanti parole dette da Dan Coats, l’ex direttore della National Intelligence Agency a Bob Woodward quando gli ha confidato che crede che i russi ricattino Donald Trump.
Gran parte dei debiti – secondo quanto scritto dal New York Times – sono del Doral Golf Resort in Florida, che perde 125 milioni, il Trump Washington Hotel, che perde 160 milioni, la Trump Tower di Manhattan che ha un mutuo di 160 milioni in scadenza il prossimo anno. E Mar-A-Lago, Florida che perde 5 milioni di dollari l’anno nonostante la pubblicità che il presidente fa al suo resort organizzando i suoi eventi in questo posto e facendo pagare le stanze dell’albergo anche ai suoi agenti di scorta del Servizio Segreto.
E il New York Times fa le pulci alle bizzarre spese dedotte dall’imponibile: l’azienda Trump ha dedotto 70 mila dollari di barbiere, quando Trump conduceva “The Apprentice” e 100 mila di parrucchiere e stylist per la figlia Ivanka, che veniva retribuita per le sue “consulenze” all’azienda. Secondo il New York Times le aziende di Trump hanno creato un utile di 434 milioni di dollari non sufficienti a pagare tutte le spese di gestione che erano di 481,4 milioni, creando così una perdita di 47.4 milioni di dollari.
“L’immagine che viene fuori dalle dichiarazioni raccolte – scrive il New York Times – evidenzia una storia molto diversa da quella che Trump racconta agli americani. Un businessman che incassa centinaia di milioni di dollari all’anno eppure accumula perdite colossali che impiega per evitare di pagare le tasse”. I dati, continua il quotidiano, “mostrano che dipende sempre di più dal fare soldi da aziende che lo mettono in conflitto di interessi con il suo lavoro di presidente”.
E qui si aprono due pesanti capitoli: chi sono i finanziatori, per ora segreti, delle aziende del presidente e che ruolo hanno le lobby che indirettamente lo finanziano? Per esempio, il governo turco, spende un milione l’anno nel suo albergo di Washington, il governo delle Filippine 3 milioni, l’India 2 milioni e 300 mila dollari. Gli evangelici hanno speso nel suo hotel nel 2017, 400 mila dollari. E proprio sabato, prima di nominare Amy Coney Barrett alla Corte Suprema federale, si è incontrato con loro. Stanze, suites, affittate tutto l’anno senza che nessuno ci vada. E circola sempre con maggiore insistenza la voce che uno dei maggiori finanziatori delle aziende di Trump sia la Deutsche Bank, la banca tedesca che in passato, nonostante tutte le bancarotte di Trump, ha prestato alle società del presidente quasi un miliardo di dollari. La banca era quella usata da Paul Manafort, l’ex capo della campagna elettorale di Trump finito in prigione per una storia di tangenti dall’Ucraina. Una banca indagata a fondo da Robert Muller nella sua inchiesta sul Russiagate il cui rapport finale è stato secretato da William Barr. A capo del servizio dei prestiti della banca tedesca, negli anni delle grandi infusioni di danaro, c’era Justin Kennedy, figlio dell’ex giudice della Corte Suprema Federale Anthony Kennedy, e grande amico di Donald Trump. “Era l’unico che gli prestava soldi dopo che le sue aziende erano andate in fallimento”, afferma Norman Ornestein dell’American Enterprise Institute, un “think tank” conservatore. La Deusche Bank, è una banca di Francoforte con una massiccia presenza di depositi degli oligarchi russi. Proprio nei giorni scorsi la banca, in seguito a quanto riportato dall’International Consortium of Investigative Journalists, ICJI, sarebbe al centro di una inchiesta, insieme ad altre banche americane, sul riciclaggio internazionale. Nei mesi scorsi la Deutsche Bank ha pagato una penale di 150 milioni di dollari per essere stata la banca che Jeffrey Epstein usava per pagare e tacitare le sue vittime e giorni fa la banca ha assunto uno stretto amico del ministro della Giustizia, William Barr, Robert Kimmitt, per cercare di ridare lustro all’istituzione.

Ed ecco che in questo scenario domani sera a Cleveland ci sarà il dibattito tra Donald Trump e Joe Biden. “E’ ora di porre fine alla devastante serie di azioni che sotto questo presidente hanno gettato il nostro Paese nel caos” ha detto Joe Biden che contesta anche la nomina di Ami Coney Barrett alla Corte Suprema da parte di Donald Trump. “Il Senato – ha detto l’ex vicepresidente – deve stare dalla parte della democrazia. E se sarò eletto la nomina fatta da Trump deve essere revocata. Spero che i repubblicani in Senato facciano la cosa giusta”, ha aggiunto Biden, sottolineando come con le sue affermazioni su Twitter Trump ha svelato come il suo primo obiettivo sia quello di cancellare la riforma sanitaria di Barack Obama che ha assicurato la copertura assicurativa a milioni di americani. Biden ha anche sottolineato come eliminare l’Obamacare lascerà scoperte tantissime persone che soffriranno delle conseguenze provocate dal Covid-19.
I sondaggi confermano il vantaggio dei democratici: Joe Biden e Kamala Harris hanno 10 punti su Donald Trump e Mike Pence. Secondo la ricerca demoscopica del Washington Post/Abc il ticket democratico ha il 53% dei consensi contro il 43% degli avversari.
Vantaggio confermato anche dal Siena College per il New York Times: l’ex vicepresidente è avanti con il 49% dei consensi contro il 41% di Trump. Secondo il sito specializzato RealClearPolitics, che calcola la media di tutti i principali sondaggi, il vantaggio di Biden si è risalito di 7 punti (49,8% a 42,8%). Negli stati più combattuti (i cosiddetti “top battlegrounds”: Florida, Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, North Carolina e Arizona pur essendo avanti ovunque Biden vede ridurre il suo vantaggio a 3,6 punti.
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