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Ossetini e abkhazi: figli di paesi invisibili

Donate da Stalin alla Georgia, le due repubbliche hanno dichiarato l'indipendenza nei primi anni '90

Tommaso Della LongabyTommaso Della Longa
Ossezia del Sud e Abkhazia
Time: 3 mins read

Come si sentirebbe il lettore, se vivesse in uno Stato riconosciuto solo da cinque o sei Paesi in giro per il mondo? O meglio, come si sentirebbe il lettore ad avere un passaporto che non gli dà il diritto di viaggiare e che lo fa considerare dalla cosiddetta Comunità internazionale un quasi invisibile? Mentre cercate di immaginare la situazione (badate bene non ci sono visti che tengono, siete veramente in una zona grigia), aprite un atlante o andate su Google e cercate Ossezia del Sud e Abkhazia. Non sarà un’operazione semplice. Nel migliore dei casi troverete dei confini semi-tratteggiati all’interno di quelli della Georgia. Poi, forse, vi verrà in soccorso Wikipedia: i due stati che cercate sono Repubbliche autoproclamatesi dai primi degli anni ’90 e lo sono de facto, soprattutto dopo l’ultima guerra del 2008. Era agosto e nel clima balneare arrivarono nel mainstream le notizie della guerra tra Georgia e Russia: in otto giorni tutto finì con i russi che arrivarono a pochi chilometri dalla capitale georgiana e che dopo la fine delle ostilità rimasero a difendere con alcune basi militari le repubbliche di Abkhazia e Ossezia del Sud. Ma in quest’articolo non vogliamo entrare nel racconto della guerra e delle sue motivazioni. Piuttosto ci interessa raccontare la storia di un mondo che per i più non esiste, ma che invece è fatto di visi, quotidianità, normalità.

ossezia del sud e abkhazia
Mauro Murgia (a destra) con il presidente dell’Ossezia del Sud, Leonid Tibilov

Nella nostra ricerca, conosciamo Mauro Murgia rappresentante dell’Ossezia del Sud per l’Italia. Mauro Murgia, sociologo italiano, da anni si batte per il riconoscimento delle due repubbliche caucasiche e sarebbe un diplomatico, se non fosse che le nazioni che ha rappresentato e rappresenta in Italia, (l’Abkhazia per tre anni e l’Ossezia del Sud da quattro anni a questa parte), non sono riconosciute dal nostro Paese. “Ho deciso di aiutare il popolo abkhazo e quello ossetino e mi sono ritrovato in mezzo a un grande scontro politico a livello internazionale”. Gli abitanti in Ossezia del Sud, cuore del Caucaso e casus belli per la guerra del 2008, sono 75.000; 350.000 in Abkhazia, territorio che si affaccia sul Mar Nero con una grandissima valenza strategica e militare e meraviglie naturali che potenzialmente potrebbero attirare il turismo internazionale. “Al disfacimento dell’URSS le repubbliche ex sovietiche si sono autodeterminate — spiega Mauro Murgia — Ossezia e Abkhazia volevano fare lo stesso, ma i georgiani non lo hanno permesso. Il successivo avvicinamento alla Russia è stato paradossalmente un errore del mondo occidentale che non ha voluto riconoscerle, spingendole così verso Mosca”.

Murgia ci racconta che Stalin ha donato ai georgiani le due repubbliche che da quel momento in poi sono considerate da Tblisi come una “proprietà”. Eppure gli Ossetini e gli Abkhazi “non c’entrano nulla con i georgiani: lingua, tradizioni e storia sono diverse. Secondo i parametri della Convenzione di Montevideo, avrebbero tutti i diritti per essere repubbliche indipendenti”.

A oggi il riconoscimento è legato a poche nazioni: Venezuela, Nicaragua, Vanuatu, Tuvalu, Nauru e ovviamente la Russia. “Quello che cerco di fare è far siglare protocolli di amicizia tra città ossetinee e abkhaze e favorire lo scambio interculturale. Ma la Farnesina, ogni volta, impugna gli atti e scrive ai sindaci: niente è permesso, neanche le visite per motivi di studio”.

A questo punto si apre una delle pagine più emblematiche dell’essere cittadini di repubbliche che non esistono per l’Occidente. Il rappresentante italiano per l’Ossezia del Sud ha facilitato visite di studenti caucasici in Italia, ha ottenuto inviti grazie alla rinomata ospitalità e apertura italiana, ma ogni volta si è dovuto scontrare con le autorità italiane che non concedono i visti. “Sono testimone di casi a dir poco vergognosi. Addirittura sono stati negati visti a cittadini ossetini ai quali non è bastato nemmeno il passaporto russo: il luogo di nascita li squalificava in partenza”, spiega Murgia che ha chiesto vari incontri alla Farnesina e che ha sempre ricevuto “un silenzio totale”. “Solo il bravo, mi permetta di dirlo, ex senatore radicale Marco Perduca si è impegnato sul fronte del riconoscimento e per far luce sui visti negati anche gli studenti. La storia dei dieci ragazzi che erano stati invitati ad Assisi per un corso di studio e che si sono visti negare il visto è il simbolo dell’asservimento ai voleri occidentali e georgiani — continua Murgia — A sentire i funzionari italiani, mancano motivi ufficiali per la visita, nonostante gli inviti siano sempre presenti. In realtà è solo mortificata costantemente la libertà di movimento”.

Chissà come si devono sentire quei ragazzi invitati ad Assisi che non hanno potuto studiare in Italia solo perché altrimenti un governo “alleato” si sarebbe risentito. Eppure la cultura della pace dovrebbe nascere e crescere proprio dalla scuola, dalla cultura, dallo scambio. Non dalla chiusura delle porte a chiunque sia nato in quegli Stati che sulle carte in pratica non esistono, ma che sono composti di donne e uomini ai quali è negato il diritto di movimento e la possibilità di conoscere il mondo.

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Tommaso Della Longa

Tommaso Della Longa

Giornalista, giramondo, romano e romanista, classe 1980. Scrittura e viaggio sono la mia vita. Per anni freelance in zone di crisi, poi nell’umanitario, prima nella Croce Rossa Italiana e poi in quella Internazionale. Ho tanti posti preferiti, tra cui Gerusalemme, Beirut, il Turkana e Belfast. Porto nel cuore le storie delle persone incontrate, dal Congo alla Siria, fino alle strade italiane. Il sorriso dei migranti, in Serbia come in Iraq o a Lampedusa, mi spinge ad andare avanti cercando di capire, imparare e raccontare sempre la verità, anche se scomoda. Ho denunciato gli abusi “in divisa”, come ho indagato sulle pagine buie degli anni di piombo. Dopo un anno a Beirut, sono tornato a Roma, perché ancora credo si possa costruire qualcosa in Italia. Sono un irriducibile idealista, lo so.

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